Maurizio "Gnola" Glielmo
"Down the Line", intervista


Testimone fra i più riconosciuti del blues italiano, con più di venticinque anni di storia legati alla formazione che porta il suo nome, Maurizio Glielmo detto "Gnola" ha sempre mostrato, soprattutto nella dimensione dal vivo, una propensione ad allargare il linguaggio di questa musica, abbracciando le diverse espressioni della tradizione americana. Chitarrista che unisce il selvaggio furore della tecnica slide dagli accenti sudisti con l'improvvisazione del Chicago blues, la passione per le radici con la lezione della scuola del British blues, Gnola ha una lunga storia da raccontare alle spalle, ma anche una continua voglia di rimettersi in gioco (tra cui la collaborazione nella band di Davide Van De Sfroos).

Down the Line è il disco che finalmente esalta queste caratteristiche, complice anche una rinnovata line up della formazione, che grazie agli ingressi di Paolo Legramandi e Cesare Nolli e un lavoro di squadra, allarga l'espressività della musica della Gnola Blues Band. Una produzione più attenta al feeling delle canzoni, sempre concentrata però sul ritmo dei brani, che include ballate dai profumi sudisti e soul, sulla scia di autori come John Hiatt, e persino sconfinamenti nel folk rock, senza mai dimenticare le origini del gruppo. Potremmo definirlo un lavoro di Americana, nella migliore delle accezioni del termine, questo Down the Line: in esso convivono infatti vecchie suggestioni blues rilette con una nuova energia roots rock. Dei passaggi che hanno portato alla nascita dell'album e alle diverse collaborazioni che lo distinguono, abbiamo parlato in questa breve intervista con lo stesso Gnola.

www.gnolabluesband.com

foto: © Federico Sponza


L'intervista
a cura di Fabio Cerbone


Partiamo dalla band. Sono passati diversi anni dal disco precedente, raccontami l'evoluzione della Gnola Blues Band. L'ingresso di Cesare Nolli e Paolo Legramandi mi pare che abbia allargato il sound del gruppo e tutto sommato sia servito a dare nuovi stimoli. Come si è formato il nuovo nucleo della band?

Il nuovo nucleo si è formato circa tre anni fa, e da subito mi è sembrata la strada giusta per poter impostare e costruire qualcosa di nuovo. Viene quasi spontaneo che quando ci sono musicisti nuovi all'interno di una band il sound si evolve in modo naturale, anche in base alle esperienze e alle attidudini dei musicisti stessi.

La coppia Nolli - Legramandi si è occupata anche della produzione e il suono di Down the Line, molto caldo e con quella giusta dose di southern feeling è quello che colpisce di più: cosa hai apprezzato del loro modo di lavorare in studio?

Era quello che cercavamo fin dal principio, e poi il sound è venuto fuori in modo spontaneo, naturale, è questa la cosa che mi ha coinvolto di più! Quando esiste questo feeling e questo entusiasmo tutto ciò che fai ne guadagna tanto, sempre, e ho trovato giusto e interessante lasciare la produzione in mano a musicisti di grande talento ed esperienza come Cesare e Paolo, che hanno portato anche un qualcosa di nuovo nel sound!

Roger Mugnaini invece è sempre al tuo fianco, la collaborazione più solida all'interno del gruppo: cosa vi lega dopo tutti questi anni?

Sicuramente il fatto di conoscerci da tanti anni ha contribuito a rendere sempre più solida la nostra amicizia, sia sotto il punto di vista musicale sia personale, in alcuni momenti i suoi interventi (Mugnaini suona pianoforte e chitarra acustica, ndr) sono fondamentali per il sound della band.

Nel disco lasci anche spazio alla voce di Cesare Nolli e l'impressione è che l'album sia più il frutto di un lavoro di squadra, dove tutti hanno il loro momento per esprimersi. So che Cesare si giostra anche alla chitarra, alla batteria e al canto...anche nelle esibizioni dal vivo proporrete questa formula più aperta?

Certamente hai centrato il punto, questo è proprio un lavoro di squadra, dove tutti non solo hanno il momento per esprimersi, ma hanno contribuito a creare questo album, anche con suggerimenti e idee musicali. Proprio un lavoro di squadra questa è la definizione giusta! Naturalmente anche nelle esibizioni live cercheremo di mantenere la stessa formula, per quanto possibile.

Down the Line non è certo definibile come un semplice disco di blues elettrico...c'è dell'Americana, del soul, del folk, molte southern roots. Che reazione stai ricevendo dal pubblico che ti segue da anni o da chi ti vede soltanto come un chitarrista blues? E tu cosa ti aspetti dal nuovo disco?

Down the Line è senz'altro il disco che ci rappresenta in questo momento, ed è una nostra evoluzione musicale in un certo senso, quallo che noi proponiamo negli ultimi anni è questo! Chi mi conosce bene sa che non sono mai stato un musicista e chitarrista di blues tradizionale, stile che peraltro rispetto in modo assoluto. Io suono e sono quello che c'è in questo album e la stessa cosa vale per tutta la band, e la reazione del pubblico è fantastica. E' ovvio che magari non puoi accontentare sempre tutti, ognuno poi ha i suoi gusti, ma devo dire che tra la maggior parte del pubblico la reazione è stata entusiastica, forse non ce l'aspettavamo neppure così! Questo disco ha aperto delle nuove strade per il futuro, chissà...

Raccontami come è nata la collaborazione con Edward Abbiati dei Lowlands. Insieme avete firmato alcuni dei brani più interessanti del disco, soprattutto un paio di ballate (Falling out of Love e The Ghost of King Street) che spostano il sound della Gnola Blues Band.

Con Edward e i Lowlands ci conosciamo da qualche anno, io ho collaborato in parecchi dei suoi lavori, ha sempre delle ottime idee musicali, anche come autore, e naturalmente il fatto che il suo sound e il suo modo di scrivere sia diverso da quello che è lo standard della scrittura Blues per noi è stata come una boccata di ossigeno, vera aria nuova!

A mio parere si nota anche come la tua chitarra, sempre protagonista, sia molto più "dentro le canzoni", insomma senza eccedere nei solismi: hai lavorato molto sugli arrangiamenti?

Qui è stato fatto un grande lavoro a livello di produzione: ci siamo concentrati sulla canzone, e forse è proprio questa l'alchimia che ha portato Down the Line ad essere un disco diverso dai precedenti, il lavorare sulle canzoni e i relativi arrangiamenti, la parti soliste sono presenti in misura giusta ed al momento giusto secondo noi, questo non è il disco di un chitarrista solista, questo è il disco di una Band.

Sei comunque apprezzato per le tue qualità di chitarrista, è innegabile, ma ho sempre pensato che anche la tua voce fosse altrettanto interessante. In questo disco in particolare la trovo ancora più matura: hai dei punti di riferimento tra i cantautori? Quali sono gli artisti che più ti hanno influenzato?

Provo a risponderti. Non mi reputo un grande cantante, ma neanche un grande chittarista se è per questo! Senz'altro la mia voce non rientra in quei canoni standard di "belle voci", potremmo forse dire che è un pò particolare. Tu sai quanto adori John Hiatt, Allman Brothers Band, Black Crowes, e tanti altri. Per quanto riguarda i chitarristi avrei una lunga serie di nomi da farti, ma attenzione, te ne farò uno solo che magari ti stupirà: RONNIE WOOD. Eccolo l'artista che ascolto di più ultimamente, lo trovo fantastico!

E allora, dopo questa risposta, chiudiamo la nostra breve intervista con gli Stones. Perché la scelta di una cover Ventilator Blues degli Stones? Parlami della tua amicizia con Chuck Leavell (pianista proprio con gli Stones, l'Allman e altri) e di come lo hai coinvolto e avete deciso di registrare questa cover

Ventilator Blues è un brano che già suonavamo dal vivo, e quando mi trovavo a Roma per il concerto degli Stones l'anno scorso, durante un incontro con Chuck Leavell glielo proposi e lui rispose che era ben contento di suonarlo. Anzi, che era tanto tempo che non lo suonava più! Chuck lo conosco personalmente dal 1987, periodo in cui lui collaborava con i Fabulous Thunderbirds, e da li è nata un'amicizia, ci siamo incontrati parecchie volte sia in Italia sia negli States. Un grande musicista, ma soprattutto una grande persona!


    

 



<Credits>