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Beyond:
un treno che passa nella notte |
L'intervista
Ed, oltre a essere un musicista, sei un grande appassionato di musica: ci racconti come le due cose siano andate di pari passo? All'inizio degli anni
90 vivevo tra Gran Bretagna e Australia, e in quel periodo suonavo molto, ero
anche entrato in studio a registrare qualcosa. Poi nel 2003, nel pieno post 11
settembre, sono tornato in Italia, a Pavia, e mi sono accorto che qui mancavano
gli artisti che piacevano a me e che avevo visto all'estero, e quindi ho deciso
di portarli dalle mie parti, offrendo loro il mio letto o un divano per passare
la notte, ed è così che tutto è cominciato. Tim Rogers è stato il primo a venire,
poi i Marah e tanti altri. Per quanto riguarda la mia musica, stavo quasi per
chiuderla in un cassetto, ma poi l'amico batterista Giovanni Novara ha organizzato
una jam, che in realtà era una mezza imboscata per farmi suonare i miei pezzi.
Lì ho conosciuto Simone Fratti, il mio futuro bassista, abbiamo suonato Lately,
Gypsy Child e altre canzoni, e ci siamo trovati bene. Ricordo anche che
all'uscita dallo studio, quella notte ha nevicato, e l'ho preso un po' come un
segno. Qualche tempo dopo un amico americano mi ha chiesto di suonare per un tributo
dedicato ai Gourds (Austin, Texas), e allora insieme a Giovanni e Simone, e poi
anche a Stefano Speroni - con cui avevo suonato a Londra - e Simone Prunetti nel
febbraio 2005 abbiamo inciso proprio Lowlands, alla nostra maniera, senza che
il gruppo avesse ancora un nome. Quanto stava uscendo dalle nostre suonate ci
è piaciuto, e abbiamo iniziato a pensare di registrare i miei pezzi. Abbiamo cominciato il tour già nell'inverno 2008, ma l'articolo sul Corriere è uscito (nel marzo 2009) dopo che la band si era fatta conoscere all'estero. In quel periodo organizzavo qualche concerto a Pavia, ma non dicevo quasi a nessuno che stavamo registrando, un po' forse per pudore e un po' per non voler imporre nulla a nessuno. Molte persone che mi conoscono, e forse anche i miei genitori, hanno saputo del disco quando è uscito l'articolo sul Corriere. La formazione con cui abbiamo portato il disco in giro era formata da Simone Fratti al basso, Stefano Speroni e Roberto Diana alle chitarre (Roby ci aveva fatto da fonico durante le registrazioni di alcuni over dub di voce), Chiara Giacobbe al violino, Philip Ariens Mercaldo alla batteria e da me. Dopo qualche mese di tour siamo tornati in studio, questa volta a Viguzzolo, e abbiamo inciso un EP (EP VOL. 1), grazie anche al fatto che il nostro brano Lullaby era stato "comprato" da una Casa farmaceutica per una campagna pubblicitaria - anche se poi all'ultimo momento hanno optato per altro - e questo ci ha di fatto finanziato le registrazioni. Parliamo proprio di tour: i live sono un momento molto importante per i Lowlands. Fin dall'inizio abbiamo sempre cercato di andare ovunque, vicino e lontano, in Italia e all'estero. Non ci piace l'idea di essere dei "local heroes" solo vicino a casa nostra, ma preferiamo andare alla ricerca di tanti posti diversi. Abbiamo suonato molto in Gran Bretagna, e devo dire che tornare da headliner per la quarta volta in quattro anni a Londra è una grande soddisfazione. Cerchiamo sempre di tornare dove siamo stati, aggiungendo posti nuovi, magari suoniamo per tre persone a Galway e la sera dopo abbiamo la sala piena a Dublino… La nostra "filosofia live" è sempre stata questa, non limitarci a trenta o più concerti all'anno tra Milano e Pavia, ma cercare di toccare più aree possibili, sia geografiche che musicali. Siamo sempre stati accolti bene, quasi in tutti i posti dove abbiamo suonato ci hanno chiesto di tornare, e con noi è tornato il pubblico, siamo riusciti a fare lo spettacolo che volevamo, e per questo mi sento fortunato. Va anche detto i Lowlands riescono a suonare alla stessa maniera a prescindere dal pubblico, comportandoci come se stessimo facendo qualcosa di importante, perché è così che la pensiamo, e credo che chi ci viene a vedere questo lo capisca e lo apprezzi.
Gypsy Child è il primo pezzo che ho scritto; l'avevamo già suonata dal vivo in più occasioni, e alla fine siamo entrati in studio per registrarla, e con quella tutto il resto del disco. Roberto Diana ha prodotto l'album insieme a me - avevamo già collaborato sull'EP - anche perché abbiamo approcci differenti che insieme funzionano in modo perfetto. Entrambi pensiamo che in studio bisogni lavorare per il bene del disco, magari non privilegiando la perfezione tecnica, ma più il sentimento, il groove. La gestazione di Gipsy Child è stata molto lunga, ci sono voluti quasi diciotto mesi dalla prima registrazione all'ultima, e alla fine non mi sorprende che all'uscita del disco - settembre 2010 - ci siano stati dei problemi nella band. Eravamo esausti. Nonostante tutto, ho un bel ricordo di quella che credo sia l'ultima vera data di quella band, al festival "Balla coi cinghiali" di Savona: il gruppo prima di noi, sul palco "Roots", cover dopo cover era riuscita mandare via tutto il pubblico, e siamo saliti sul palco con solo il fonico davanti a noi. Ma a fine show il parterre era pieno, la gente era tornata. Poi però sia l'attività in studio che quella live erano diventate fin troppo presenti nella vita di tutti i membri dei Lowlands, questo ha portato a qualche problema interno, abbiamo dovuto cancellare un tour in Scozia, e abbiamo confermato un paio di date qui intorno giusto per salutarci. Dal mio punto di vista l'avventura avrebbe anche potuto finire lì, ma c'era un disco da promuovere, in Inghilterra ci chiedevano delle date, e alla fine ho deciso di andare avanti. Sono arrivati Francesco Bonfiglio al piano (che aveva già partecipato alle sessions di Gipsy Child), Manuel Pili al basso e Alex Bonacci alla batteria, con grande coraggio sono saliti a bordo, e dopo appena quattro prove siamo partiti per la Gran Bretagna, studiando la struttura dei pezzi in macchina. Di fatto il tour è proseguito fino a giugno 2011, alla festa per i 25 anni di Spaziomusica. Abbiamo fatto tante date, da quelle natalizie, in una chiesa, a un paio di date nelle carceri di Alba e Vigevano, fino appunto al concerto per Spaziomusica, una serata bellissima davanti a più di duemila persone, nel castello di Pavia. Quella sera sono anche riuscito a rompere la mia chitarra: su Only Rain, il primo pezzo del nostro set, non mi sentivo nei monitor di palco, e quando finalmente la mia chitarra è apparsa su What Can I Do, le ho tirato un pugno, sfondandola, ma in qualche modo ha retto fino alla fine. Dopo quel concerto abbiamo fatto ancora qualche data, ma poi ci siamo fermati, una lunga coda di situazioni ha fatto sì che la band così non potesse andare avanti. Ci siamo fermati, e anche in quel caso per me la questione era chiusa, ma ho il piccolo problema che quando porto in giro un disco ne ho già in testa un altro, e questo era uno di quei casi… Stai parlando di Beyond, il nuovo disco dei Lowlands. Esatto: lo avevo in testa già da un po', con Roberto e Chiara avevamo già lavorato alla pre-produzione, ma bisognava decidere cosa fare e come proseguire. Alla fine, abbastanza d'istinto e gettando il cuore oltre l'ostacolo ho fatto un paio di telefonate e ho deciso di fare il disco. Ero rimasto in contatto con Joey Huffman (Soul Asylum), che si era reso disponibile a produrre un album per noi, ma avevo bisogno di una sezione ritmica, perché Manuel e Alex (e anche Chiara) nel frattempo avevano lasciato il gruppo. Il disco che avevo in mente era ritmico, molto rock, quasi basato su basso e batteria, senza individualismi o personalità singole, una sorta di disco corale, un treno che passa nella notte con tanti rumori che vanno tutti in una direzione. Qualche tempo prima avevamo conosciuto Rigo Righetti, e speravamo di fare qualcosa insieme a lui e a Robby Pellati, non appena calendari e pianeti si fossero allineati. Li ho trovati vitali e ancora affamati di musica nuova e per niente seduti sugli allori, gli ho proposto di entrare in studio con noi e hanno accettato. In meno di una settimana abbiamo finito il disco.
Lovers & Thieves ha preso la sua forma alla fine del tour di Gipsy
Child, è un brano rabbioso, "da pirati", all'inizio del disco: una canzone
che parla di meschinità, di piccoli e grandi furti, e della voglia di schierarsi
dalla parte di chi crea qualcosa, invece che dalla parte di chi prende e basta.
Homeward Bound è una canzone più vecchia, la prima stesura anticipa anche
The Last Call ma è stata finita nel periodo in cui si decideva cosa
fare con l'album: in qualche modo forse è il pezzo più vero e più falso del disco,
perché è un mostrarsi completamenti senza barriere a battaglia finita, ma anche
un modo di giustificare le scelte fatte senza volerle affrontare, collocandole
a posteriori in un percorso; lo troviamo a metà disco. Keep On Flowing invece
parla di quando è la vita a trascinarti in una direzione, come la forza di gravità,
e sai quale sarà il prezzo da pagare, ma non ti fermi e ti tuffi per il profondo.
Il brano chiude l'album, e quindi credo che la si possa definire come una sorta
di trilogia. Beyond parla del momento tra la notte e l'alba, tra il momento
più buio della notte e la prima luce dell'alba, della fine di qualcosa e dell'inizio
di qualcos'altro, e di come la fine non sia la cosa peggiore, perché permette
di ripartire. Credo che chiuda il cerchio che abbiamo aperto con The Last Call,
scrollandosi di dosso il passato e preparandosi al futuro. Come dicevo prima,
i Lowlands in alcune situazioni hanno avuto una fine molto lunga, mentre in questo
caso sento l'aria fresca dell'inizio, senza però dimenticare che si basa su molto
dolore, perché ci sono state decisioni e momenti molto difficili che hanno plasmato
queste canzoni. |