L'intervista

In questo tour hai riproposto una
formula acustica molto stringata, che ricalca in qualche modo i tuoi ultimi tre
dischi di studio con la Vanguard (Full Service No Waiting, Flying Saucer's Blues,
Bee Line). Sembrano formare quasi una sorta di trilogia. Perché hai scelto queste
particolari sonorità? Si, hai ragione: in effetti li considero
anch'io una sorta di trilogia, sono dischi molto legati fra loro. E' stata una
mia scelta precisa, non dipende molto dalla produzione o da altri fattori. Durante
gli ultimi anni mi è capitato spesso di girare in tour gli States da solo, facendo
degli show unicamente con la chitarra acustica e l'armonica, per cui una volta
entrato in studio ho cercato di combinare in qualche modo questa mia nuova attitudine
"live" acustica con il suono della band. L'obiettivo è sempre stato quello di
creare una musica tutta mia, riconoscibile, penso di esserci riuscito: io sono
questo suono, quello che senti sia nell'ultimo Bee Line, sia nei due lavori
precendeti Mi ha colpito parecchio il modo in
cui hai utilizzato le percussioni e la batteria, specialmente nell'ultimo Bee
Line. È stata una tua scelta, in accordo con il produttore Andrew Williams?
Assolutamente si, è stato un indirizzo che ho deciso in totale autonomia,
anche se ho sempre lavorato fianco a fianco con Andy. Il senso di questa mia ricerca
sulle ritmiche, usando molto le percussioni, è legato ad alcune mie passioni musicali:
ho sempre apprezzato la musica africana, per esempio il lavoro di un personaggio
come Ali Farka Touré, oppure certe soluzioni ritmiche della tradizione
indiana, che si possono sentire tra l'altro anche nelle parti di chitarra. Ho
cercato di fornderle con il mio stile e quello della band: lo scopo principale
era quello di dare vita a quello che chiamerei un "groove" particolare, evitando
il classico battito del rock, molto più quadrato. Visto
che lo abbiamo citato, cosa mi puoi dire di Andrew Williams? È già il terzo lavoro
consecutivo che produce con te Andrew prima di tutto è un vecchio
amico, il mio migliore amico, insomma una persona che conosco da una vita intera,
per cui lavorare con lui è molto semplice. Ha prodotto gli ultimi tre dischi su
Vanguard, ma in realtà gira al mio fianco fin dai tempi dei Plimsouls (la
band con cui Peter si è fatto conoscere, ndr): è soprattutto un ottimo musicista,
suonava la chitarra con la band e ha fatto parte per molto tempo della squadra
di tecnici al seguito. Le sue opinioni sono dunque fondamentali per me: arrivano
da una persona che mi conosce molto bene ed io mi fido di questo rapporto. In
Bee Line abbiamo cercato di creare un suono che mettesse in risalto tutti i diversi
aspetti delle mie canzoni. Tra le canzoni che hai
suonato in questo tour ho aprezzato Evening Raga, è una delle migliori anche su
Bee Line: ha questo andamento un po' psichedelico, sembra uscire dagli anni sessanta.
Come è nato questo brano? Davvero ti piace, è anche una delle
mie preferite. La canzone è venuta fuori molto spontaneamente, non so darti una
spiegazione precisa: una sera ho acceso il registratore ed è uscita tutta d'un
fiato, in un'atmosfera molto intima. Ecco spiegata la ragione del verso "my voice
is cracking like old dry leaves" (la mia voce scrocchia come delle vecchie foglie
secche): era esattamente la sensazione che provavo mentre la stavo incidendo.
Per quanto riguarda il titolo, in quel periodo stavo ascoltando parecchio materiale
di Ravi Shankar: ho unito le cose ed è saltato fuori Evening Raga...
In Bee line hai inserito anche una cover di Townes
Van Zandt: perchè hai scelto questo brano in particolare?
Ovviamente ho sempre amato le sue canzoni, è uno dei più grandi songwriter che
abbiamo avuto negli ultimi tret'anni, ma la ragione principale per cui ho scelto
questa canzone di Townes Van Zandt è dovuta ad alcune sue esibizioni a
cui ho assistito in California. Spesso si pensa a Townes come ad un classico folksinger,
ma in questo caso lui la suonava veramente con uno spirito rock. La canzone, Ain't
Leaving Your Love, aveva questo feeling alla Bo Diddley che mi ha immediatamente
catturato: mi piaceva l'idea di dare una visuale diversa di questo grande artista
Parliamo del tuo interessante progetto su Mississippi
John Hurt, con il disco-tributo Avalon
Blues: sei orgoglioso del risultato finale? Si, sono
assolutamente orgoglioso di questo disco, è stata una delle mie soddisfazioni
maggiori di questi anni. Mississippi John Hurt è per me un punto di riferimento
artistico insostituibile, si può dire che lo amo da quando ero bambino e il desiderio
di tributargli un omaggio mi girava in testa da molto tempo. Da un certo punto
di vista è stato semplice, soprattutto quando si è trattato di chiamare alcuni
miei vecchi amici: con Dave Alvin, Steve Earle, Victoria Williams la cosa è venuta
moto spontanea, anche l'incisione in studio. Chiaramente per gli altri nomi coinvolti,
per esempio Beck o Ben Harper, ho dovuto avere molta pazienza: non tanto per la
loro adesione, che anzi è stata da subito entusiasta, ma come puoi immaginare
c'era da sopportare tutta la trafila con i manager e la casa discografica
Da dove nasce questo tua grande passione per il blues
e la folk music: cosa ti attrae di queste forme musicali?
Non mi è difficile trovare le ragioni di questa mia passione per il blues e la
vecchia folk music: i motivi sono legati alla sua estrema semplicità. È una musica
assolutamente vera, non studiata, che fluisce dall'artista all'ascoltatore senza
mediazioni. Non mi sono mai considerato tuttavia un artista blues o un vero e
prorio folksinger: nella mia carriera sono passato attraverso diversi generi,
suonando anche molto rock'n'roll. Il segreto sta tutto nel reinterpretare queste
radici folk e nel trasformarle in qualcosa di nuovo, qualcosa che sia frutto della
tua personalità E cosa pensi di questa riscoperta
delle radici che sembra avere preso piede dopo l'enorme successo della colonna
sonora di Fratello dove sei dei Cohen? Pensi sia solo una moda passeggera?
Non saprei dirti con certezza le motivazioni di questa riscoperta,
certo fa molto piacere vedere le classifiche e scorrere le copie vendute da questa
colonna sonora. Tra l'altro T-Bone Burnett, il produttore del progetto
O Brother Where Art Thou, come ben sai è un mio vecchio amico (ha prodotto
il primo disco di Peter, ndr): la cosa mi fa doppiamente piacere. Credo però
che sia presto per dire che è in atto un'inversione di tendenza nei gusti del
pubblico. Sai, sono sulla strada da molti anni ormai, suono folk music da una
vita e gente come me, Dave Alvin o Lucinda Williams ha visto passare molta acqua
sotto i ponti: i gusti vanno e vengono, è sempre un ciclo, spesso una questione
di mode del momento. Hai citato Dave Alvin: nella
tua carriera hai potuto suonare con diversi grandi musucisti, tra cui non solo
Dave, ma anche Ry Cooder o David Hidalgo. Tieni ancora i contatti con tutti loro?
Con alcuni naturalmente si, altri molto più raramente. Dave
Alvin è di sicuro uno dei miei migliori amici, per cui ci sentiamo spesso.
Ry Cooder è forse quello che ho più perso di vista, sai è sempre molto
impegnato nelle sue registrazioni e nei diversi progetti. Ma
quali sono stati quelli più importanti per la tua crescita musicale?
Senza dubbio sono state tre le figure fondamentali per la mia carriera, quelle
che mi hanno spinto ad imbracciare una chitarra e scrivere canzoni: come già ti
accennavo Mississippi John Hurt, poi Bob Dylan e naturalemente Elvis
Presley. Inoltre ho ascoltato molto rock'n'roll da ragazzo, un altro mio grande
eroe è stato Chuck Berry Intendevo non
tanto quelli che ti hanno influenzato, ma quelli con cui hai suonato realmente
Ok, ho capito. La cosa ti sorprenderà, ma nel periodo in cui
arrivai a San Francisco, verso la fine degli anni settanta, il musicista che più
di tutti mi aiutò nella crescita musicale fu Mike Wilhelm, che al tempo
suonava nei Flaming Groovies e aveva fatto parte dei Charlatans nel periodo psichedelico,
alla fine degli anni sessanta. Mi insegnò la tecnica del fingerpicking alla chitarra
e fu essenziale per sviluppare il mio gusto come musicista ed autore.
Riguardando alla tua carriera hai qualche rimorso? Dopo
i tuoi primi dischi solisti con la Geffen, hai intrapreso un percorso più indipendente
Nel punto in cui mi trovo sono assolutamente soddisfatto. La
situazione è mille volte differente e migliore rispetto al passato. Con la Vanguard
è la prima volta in tutta la mia carriera in cui sono riuscito ad incidere tranquillamente,
senza pressioni e con la stessa gente al mio fianco per due volte di seguito.
Cosa che non succedeva affatto con una major, dove fanno di tutto per ostacolarti
e tenerti fermo per un paio d'anni Non è la prima
volta che ti esibisci sui palchi italiani: cosa ne pensi di questo forte legame
che si è instaurato tra il pubblico europeo e certi songwriters come te o il tuo
amico Steve Wynn In parte questo legame esiste, è un fenomeno
che non so spiegarti bene: direi che tutto il movimento legato alle radici e in
generale alla folk music in America è molto underground, non è mai riuscito ad
uscire definitivamente allo scoperto. Non che qui in Europa la situazione sia
molto differente, ma certo la presenza di molti appassionati crea questo rapporto
stretto con molti di noi. Si basa tutto sul passaparola, e questo è secondo me
un fatto positivo, sulla dedizione di promoters come Carlo Carlini e di riviste
come il Buscadero o il vostro sito: finchè ci sarà gente che lavorerà in questa
maniera per noi sarà sempre un piacere tornare da queste parti a suonare |