Magnetiche risonanze

Sam Shepard, Spiare la prima persona
[La nave di Teseo, pp. 99]

- a cura di Donata Ricci -

L’invecchiamento è una forma di conoscenza, ha detto qualcuno. Se è vero – ed è vero – immaginiamoci quando si accompagna alla malattia. “A volte” oppure “Per esempio” sono un buon modo per cominciare un racconto, osserva Sam Shepard. A volte il passato si ripresenta, ma arriva sempre a pezzi. Per esempio può manifestarsi negli occhi indagatori di qualcuno che ti spia mentre sei abbandonato su una sedia a dondolo, che in realtà è una sedia a rotelle. Senti soltanto il suo sguardo: un alter ego? un gemello perduto? la tua coscienza? “Qualcuno vuol sapere qualcosa di me, che non so nemmeno io”. Quello che sa bene, Sam Shepard, è che vuole scrivere questo commiato prima che la SLA lo risucchi per sempre. Comincia ad abbozzarlo nel 2016, un anno prima di congedarsi. Dapprima lo scrive a mano, perché battere i tasti della macchina da scrivere era diventato impossibile; più tardi registra le parole che i famigliari poi trascriveranno e infine detta direttamente gli ultimi capitoli. Fino a quando sopraggiunge l’amica di sempre Patti Smith a revisionare il tutto insieme alla famiglia di Sam.

Ne esce un libricino di appena un centinaio di pagine, ma con molti fogli bianchi alla fine, che saranno pure avanzi di rilegatura, ma sono utili al lettore che desideri prendere appunti. E questo vorrà pur dire qualcosa. E’ un commiato, sì, ma contiene un elogio alla fragilità. Nella sua prosa essenziale Shepard non si sottrae all’ammissione – lui così affascinante e titolare di un’esistenza bruciante – che ora gli serve qualcuno che gli allacci la lampo della braghetta. C’è un’opaca rassegnazione (“Più divento incapace e più divento distante”). C’è un odore di attesa (“Aspetto che qualcuno mi trovi”). E mentre aspetta, i pensieri scorrono come in un diario di lavorazione. A pensarci, con i titoli degli ultimi libri si potrebbe approntare una sinossi della sua autobiografia spirituale: attraverso il paradiso, quello di dentro, fin qui a spiare la prima persona. Sempre più introspettivo, per non dire criptico. Più che mai attratto dal passato e dagli scarti temporali (“C’è questo fatto nel dopo. Che non sai cosa verrà. Non sai come andranno a posto tutti i sospesi”). Sempre più trepido nei rapporti famigliari e dubbioso sul fatto di essere stato un buon padre. Anche se si direbbe di sì, a giudicare dall’esergo in cui Hannah, Walker e Jesse gli rendono merito e riconoscono lo sforzo sovrumano che gli è costato portare a termine questo volumetto. Eppure lui resta inquieto: “Non sto cercando di dimostrarvi che ero il padre che credevate fossi quando eravate bambini. Ho fatto degli errori ma non ho idea di quali siano stati”. Non può sfuggire la somiglianza con il padre che l’attore Shepard interpretava in Bloodline, la serie Netflix in cui la linea di sangue non è soltanto dettata dalla filiera parentale ma è effettivamente irrorata da torti seriali.

Va preso come un espediente narrativo il suo lieve migrare tra i ricordi, dall’Arizona all’East Village e dalle acque agitate di Alcatraz ad un quieto pontile sul Pacifico. E non è che un innocente stratagemma l’elencazione degli accertamenti clinici cui viene sottoposto. In realtà, più che di risonanze magnetiche si potrebbe parlare di magnetiche risonanze: echi di remote imperfezioni, errori più o meno inevitabili, quelle cose contenute nello stato inafferrabile e gentile che si chiama fragilità umana. E’ con questa moneta che il conto può considerarsi saldato.

Patti Smith & Sam Shepard, My Buddy and Patti Lee: un dialogo, due libri (a cura di Donata Ricci)

:: Sam Shepard, bibiografia (dal blog di BooksHighway, a cura di Marco Denti)

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