Orgogliosamente indipendenti da più di vent’anni
(hanno esordito nel ’97 con Pictures), fieramente e cocciutamente
intransigenti, i pesaresi Cheap Wine approdano al loro tredicesimo
disco, intitolato Faces, finanziato con un crowfunding
casalingo (ovviamente) che ha trovato l’abituale partecipazione tra
i "Wineheads" che li seguono con fedeltà. Ma sarebbe ora che
anche gli altri si accorgessero dell’esistenza e del valore di questo
quintetto, guidato con mano sicura dai fratelli Diamantini, Marco alla
voce e Michele alla chitarra, che si dividono anche le composizioni
con una prevalenza di Marco, anche se non bisogna dimenticare il contributo
essenziale delle tastiere di Alessio Raffaelli e della sezione ritmica
formata da Andrea Giaro (basso) e Alan Giannini (batteria).
C’era curiosità per valutare gli sviluppi del loro suono dopo la trilogia
formata da Based On Lies, Beggar Town e Dreams,
usciti tra il 2012 e il 2017, collegati tra loro dalle tematiche affrontate:
la situazione drammatica dell’Italia contemporanea, rappresentata da
persone distrutte dalla crisi economica e raggirate da un sistema fondato
sulla finzione supportata da mass media manipolati (in Based On Lies),
la reazione degli stessi esseri umani che, preso atto delle macerie
e della desolazione, cercavano di sopravvivere, di rimettersi in cammino
e di trovare una prospettiva più decente di vita non limitandosi a compiangersi
(in Beggar Town), l’illusione di uno spiraglio per il futuro,
basato sulla forza dell’amore e dei sogni (in Dreams). In realtà
Faces prosegue nella descrizione del mondo di oggi, tratteggiando
personaggi che si sentono fuori posto, respinti dalla realtà che li
circonda, imprigionati in un ruolo che non li rappresenta, diventando
anonimi elementi del gregge, ad eccezione di alcuni “disadattati” che
non si adeguano, cercando di fuggire alla ricerca di nuovi orizzonti.
Se i testi di Marco mantengono la loro serietà e l’impegno sociale che
da sempre li caratterizzano, la musica di Faces riporta in primo
piano la chitarra di Michele, rimasta in secondo piano su Dreams
rispetto alle tastiere, con un ruolo di raccordo. Invece dalle prime
note di Made To Fly si capisce che
il suono è tornato rabbioso e incazzato, pur essendo più maturo e meno
diretto rispetto agli inizi, per intenderci prima della svolta di Spirit
del 2009. Il crescendo ripetitivo e ipnotico di Head In The Clouds,
il rock tirato tra Stones e Green On Red di The
Great Puppet Show, il basso pulsante e la chitarra nervosa
di Faces, che si apre nel finale in un assolo lento e sofferto,
l’elettrica e avvolgente Misfit
con Alessio al synth e la robusta Disguise rappresentano al meglio
il prevalere di un suono aspro e chitarristico, solo parzialmente addolcito
dall’intima Princess, sussurrata da Marco, accompagnato dagli
arpeggi di Michele, dall’avvolgente The Swan And The Crow e dalla
chiusura sognante di New Ground, che rappresenta la partenza
verso nuovi orizzonti.
Un altro disco di ottima qualità, curato anche nella parte grafica con
i testi in inglese e in italiano, da parte di una delle migliori realtà
del rock europeo.