Cheap Wine - Moving Cheap Wine 2004 
 

E' facile intuire come finirà il novanta per cento delle recensioni e dei commenti a Moving dei Cheap Wine: si meriterebbero di più. Invece no: si meritano questo disco, così come ce lo meritiamo noi, punto e a capo. Intuire il senso di questo passaggio non vuol dire soltanto capire l'intima essenza di Moving (che è uno splendido disco), ma anche percepire le radici primordiali del rock'n'roll e la sua ultima libertà. Piccola parentesi industriale: i Cheap Wine hanno avuto un estemporaneo rapporto con una parvenza di etichetta discografica. Risultato: un fallimento all down the line. Dato che sono ragazzi svegli, da allora (erano i tempi di Pictures) in poi i dischi se li producono (e se li vendono da soli) e sono uno meglio dell'altro. Moving ha qualche motivo in più per essere ricordato perché, pur non essendo una svolta netta rispetto a Crime Stories, Ruby Shade o A Better Place, da una parte si avvicina moltissimo ai Cheap Wine live e dall'altra mostra uno spettro di sonorità non del tutto inedito, ma che finalmente il gruppo dei fratelli Diamantini padroneggia come proprio. Le sorprese cominciano subito da I Can Fly Away, che sembra un reperto della Summer of Love: chitarre acustiche, psichedelia, le voci che armonizzato e s'intrecciano, i Jefferson Airplane nell'aria. Eterea e bellissima, almeno quanto la versione di One More Cup Of Coffee (Bob Dylan) dove una chitarra acidissima s'infila tra le note del piano, dimostrando che i Cheap Wine hanno allungato il passo. Qui gioca un ruolo di rilievo Marco Diamantini che schiva l'ennesima imitazione di Bob Dylan per regalarci una versione vocale personale e molto profonda. Tra questi due estremi soffusi, ci stanno poi i Cheap Wine maturati dall'esperienza on the road, a cui il titolo allude senza remore: le furie chitarristiche di Move Along, The Wheels Are On Fire e Haze All Down The Line (un grande titolo che in un colpo associa Jimi Hendrix e Rolling Stone), I Got Gasoline convivono senza problemi con la psichedelia di Loom And Vanish e Fade Out (e qui sembra di sentire persino i migliori Pink Floyd), con il drive springsteeniano di Shakin' The Cage, il turbinio blues di Snakes e con una ballata come City Lights. Ancora una volta, il titolo qui nasconde un (forse inconscio) tributo alla Beat Generation (la City Lights di San Francisco, dove tutto ebbe inizio), ma è tutto Moving ad essere impregnato all'epica della vita on the road che, ieri ed oggi, è più la vita delle rock'n'roll band che dei poeti. Fedeli fino in fondo a queste motivazioni (sulla strada ci stanno loro, non altri) i Cheap Wine hanno fatto tutto da soli e alla produzione hanno messo Michele Diamantini che, al di là dei suoni, ha avuto l'intuizione di lasciare scorrere le canzoni, le chitarre e quant'altro forma l'essenza dei Cheap Wine senza guardare le lancette dei minuti e dei secondi. Il risultato potrà suonare quindi out of time, ma è rock'n'roll al cento per cento.
(Marco Denti)

www.cheapwine.net


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