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  Andrea Parodi
Zabala
[Appaloosa/ IRD 2021]

Sulla rete: andreaparodizabala.com

File Under: cieli texani


di Fabio Cerbone (24/05/2021)

Dentro le note di Zabala ci sono anni di strade percorse tra l’Italia e il Texas, di festival e concerti organizzati, di incontri e amicizie artistiche coltivate con passione. Un album inseguito da troppo tempo e che finalmente rimette al centro le canzoni di Andrea Parodi, autore che sembrava avere riposto in un cassetto l’idea di fare musica. In realtà, durante le serate da animatore del Townes Van Zandt Festival (un appuntamento divenuto irrinunciabile nella sua Figino Serenza) o da propugnatore delle giornate del Buscadero Day, Parodi si ritagliava di tanto in tanto uno spazio, lasciava decantare quelle ballate, ne proponeva un aggiornamento. Tuttavia, le iniziative con la Pomodori music, la sua agenzia di concerti, occupavano il centro dell’azione e un nuovo disco (la promessa di Soldati risale ormai al 2007, il lavoro collettivo con i Barnetti Brothers al 2009, poi nulla più) si allontanava all’orizzonte. Quest’ultimo ora restituisce lo sguardo infinito di una strada americana, uno scatto di copertina che ritrae la Highway 6 dalle parti di Tonopah, Nevada (vi dicono qualcosa i Little Feat di Willin’?), che chiarisce gli innamoramenti musicali, oseremmo dire l’intero mondo che popola l’ispirazione di Andrea Parodi.

Lì da qualche parte fra il lago di Como e il West, parafrasando Guccini, Zabala trova una sua espressività, la migliore e più matura fino ad oggi svelata da Parodi, forse proprio perché lasciata decantare per così tanti anni. Logico dunque aspettarsi che nella sua confezione Zabala scopra tutte le carte sul tavolo, si riempia di ospiti fino a traboccare, ma mai oscurando i meriti dell’autore e della sua scrittura, che sa di una sensibile poetica dei piccoli sentimenti (È solo un fiore, Ninna nanna del maggio), a volte anche un po’ innocente (la sincera dedica d’amore di C’è, oppure Maya dei girasoli, accompagnata da un bel video), altre invece di un forte piglio narrativo che coglie direttamente dalle visioni in cinemascope dell’Americana e della tradizione country&western (il piccolo gioiello del disco, Brasile, che in una storia fra continenti lascia affiorare le malinconie dell’adorato Townes Van zandt e lo scorrere elettro-acustico di Bob Dylan, grazie anche al lavoro di produzione di Neilson Hubbard).

Fare l’elenco dei partecipanti porterebbe via quello che resta di questa recensione, e tuttavia non è un esercizio sterile parlare delle chitarre di David Grissom, che accentuano il carattere da heartland rock di una Buon anno fratello che pare spuntare da un vinile di Joe Ely, o soffiano sulle braci di Elijah quando parla, di quelle di David Bromberg, partecipe nella docile trama country folk di Se vedessi la baia ora, dell’organo Hammond e dell’accordion di Joel Guzman (anche co-produttore) sparsi in lungo e in largo per l’intero disco, a cominciare da una festa da border messicano, quella fra sogni e disperazione di Gabriela Y Chava Moreno, o ancora del violino di Scarlet Rivera o della pedal steel di Larry Campbell, nella saga in nero della murder ballad I piani del Signore, nomi che rimandano subito all’universo dylaniano.

E si tratta solo della superficie, con i vari Radoslav Lorkovic, David Immerglück, Bocephus King o Carrie Rodriguez che si affiancano ai musicisti italiani (le voci di Claudia Buzzetti, il dobro di Paolo Ercoli, le chitarre di Alex Kid Gariazzo…) in una sorta di personale carovana che per Andrea Parodi non è affatto una scusa per sviare l’attenzione dal cuore del songwriting, semmai un atto di generosità e condivisione. Arriva persino a lasciare campo libero a cinque cavalieri come Joe Ely, Ryan Bingham, Greg Brown, James McMurtry e Sarah Lee Guthrie, le voci protagoniste della cavalvata di Where the Wild Horses Run, adattamento dell’orginale Dove corrono i cavalli, la più “colpevole” nel mostrare il fascino per l’America.

Non è inedito il viaggio musicale compiuto da Zabala, al di là dell’attrattiva dei nomi citati: potremmo facilmente scomodare l’iconografia di quell’indiano che capeggiava sulla copertina di Fabrizio De Andrè, l’immancabile De Gregori innamorato del maestro Dylan, e più di tutti probabilmente il Massimo Bubola di Amore&Guerra e Doppio Lungo Addio (con il quale peraltro nacque la collaborazione dei citati Barnetti Brothers), così come gli stessi Joe Ely e i sodali texani, che Parodi ha frequentato come fosse uno di casa (fino addirittura a sposarsi nel ranch di Joe, con il figlio di Townes Van Zandt, J.T., a fare da celebrante). Ciò detto, emerge abbastanza carattere in queste canzoni da non doversi sedere sul banco degli accusati per le proprie passioni: forse perché Andrea Parodi le affronta con un’onestà di intenti che gli è sempre appartenuta.


    

 


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