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folk, americana
di Marco Restelli (29/01/2019)
Le nostre strade si sono
già piacevolmente incrociate con quelle di Vicky Emerson e la sua
musica nel 2016, quando pubblicò Wake
Me When The Wind Dies Down. Quel disco alternava con efficacia
ballate folk acustiche ad altri pezzi più uptempo e stradaioli, spesso
elettrici, in stile Americana. In queste settimane esce Steady Heart,
sua nona prova in studio, e l’approccio generale dell’artista di Minneapolis,
che tra l’altro si autoproduce, questa volta sembra aver preferito maggiormente
il lato intimo, regalandoci una manciata di brani (nove in tutto) che
puntano direttamente al cuore. Per rendere ancora più credibile questa
sua scelta, come spesso accade, si è contornata di artisti in cui crede
e ai quali è fortemente legata anche nella vita privata e così, per esempio,
si ritrovano ai cori le amiche Sarah Morris (con la quale forma lo stabile
duo live Home Fires) e Kari Arnett, le quali hanno contribuito a rendere
alcuni brani ancora più coinvolgenti.
C’è da dire che, ascoltando l’album, si nota un forte attaccamento alla
tradizione ed è naturale che la memoria vada ai primi album di colleghe
come Nanci Griffith o Emmylou Harris, che con le loro voci e un songwriting
semplice sapevano sempre scaldarti, proprio come l’immagine sulla copertina
di Steady Heart. Quel calore lo si può sentire sulla pelle già
ascoltando le note del mid-tempo In The Pines
che apre l’album in maniera un po’ bluesy (cullante il violino di Jake
Armerding, che tornerà in altri brani), là dove il testo è invece un invito
al proprio partner a “perdersi” insieme nella natura, lontano da occhi
indiscreti, vivendo un appassionante momento a due. Bird’s Eye View
suona molto più acustica e malinconica coerentemente con le parole della
protagonista mentre descrive le difficoltà di un rapporto del quale, nonostante
tutto, non sembra in grado di fare a meno. Il ritmo sale leggermente con
Reckoning (scritta a quattro mani
con Graham Bramblett) nella quale l’immagine della tempesta e del maltempo
che si avvicina viene utilizzata in realtà più come metafora di ben altre
bufere che a volte si abbattono nella vita di una persona, quasi come
fossero una punizione, o una vendetta del destino, per aver commesso ogni
tipo di errore.
Nella morbida Good Enough, una delle
mie preferite del disco, c’è la triste consapevolezza di una donna di
non riuscire a sentirsi adeguata alle esigenze del proprio uomo mentre
nella title track, lenta ballata d’altri tempi, gli viene offerto con
tenerezza tutto il proprio amore per riuscire a superare ogni prova, superando
la tentazione di isolarsi completamente. Tirando le somme, non prima di
aver citato le ottime due canzoni finali (Disappear e la splendida
The Boat Song, voce, chitarra con
una brevissima coda al pianoforte), Steady Heart conferma quanto di buono
la Vicky Emerson ci ha regalato nella sua ormai quasi ventennale carriera
e il mio personale auspicio è che le oggettive difficoltà che qualsiasi
artista affronta oggi per pubblicare nuovi dischi – ancor più nell’ambito
Americana – non le impediscano di continuare la strada fin qui percorsa.