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T. Buckley
Frame by Frame
[Fallen Tree records 2021]

Sulla rete: tbuckley.ca

File Under: canadian folk rock


di Fabio Cerbone (13/01/2022)

Togliamoci subito il pensiero di quel nome, tanto glielo avranno fatto notare tutti: l’abbreviazione è probabile che sia stata una scelta obbligata per questo folksinger canadese di Calgary, stato dell’Alberta, perché se ti presenti in pubblico come Tim Buckley, anche inconsapevolmente le aspettative aumentano e poi succede che la delusione è dietro l’angolo. Non che lui si sia spinto troppo lontano: un semplice T. Buckley, come a dire che alla fine lo dobbiamo accettare per quello che è, un interessante songwriter dalla vena country folk e con accenti rock melodici che nulla ha in comune con l’ombra (ingombrante) del suo omonimo americano.

Frame by Frame è il quinto episodio in carriera a partire dall’esordio del 2011, Roll On, mettendo nel conto anche due dischi incisi come T. Buckley Trio, che gli sono valsi una discreta attenzione sulla scena nazionale e qualche passaggio radiofonico tra le stazioni di settore country. Tuttavia, il cuore della sua musica andrebbe piuttosto definito come folk rock d’autore, con diramazioni roots, profumi West Coast e anche una certa qualità pop nella voce e negli arrangiamenti, che rendono questo Frame by Frame un disco indipendente ma con tutte le qualità sonore di un prodotto da major discografica. Inciso negli studi di Calgary con la produzione di Jeff Kynoch - musicista esperto che si porta dietro una manciata di ottimi collaboratori, tra i quali emergono l’organo Hammond e il piano di Steve Fletcher e le chitarre, pedal steel, banjo e dobro di Mitch Jay - l’album strizza l’occhio al suono del country rock texano con l’apertura di Wildfire, tra i brani più vivaci in scaletta, eppure tra i meno rappresentativi, preferendo il nostro Buckley canadese muoversi sui sentieri elettro-acustici eleganti e aggraziati di una Father’s Child composta insieme al collega John Wort Hannam e che mi ha ricordato lo stile del compianto Neal Casal.

Sono anche i momenti nei quali Frame by Frame, con il suo songwriting così introspettivo, interessato a raccontare storie di amore e comunità, colpisce di più nel segno, esaltando le qualità dell’interpretazione di Buckley. Tra questi ultimi si segnalano il dolce picking di Holding My Place e della stessa title track, con note avvolgenti di steel guitar e mandolino, o ancora il finale a braccetto di armonica e dobro in After You Go Back, mentre Settler’s Town e Solid Ground sono canzoni che si fanno più delicate nella ricerca melodica, e forse si lasciano scappare anche una certa “maniera”, la stessa che aleggia un po’ su tutta la struttura di Frame by Frame, tuttavia senza mai eccedere. D’altronde, che T. Buckley abbia una facilità pop di scrittura è innegabile e neppure si può nascondere che questa funzioni discretamente: infatti, Before I Get to Turn Around è una ballata elettrica, gradevolmente radiofonica, che conquista con il suo agrodolce sound e che bene si abbina con la “gemella” Marylin, altro episodio che spinge su questa linea di pensiero musiscale, evocando i connazionali Blue Rodeo nei loro passaggi più melodici.


    


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