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ol' roots rock di
Fabio Cerbone (20/07/2013)
"Quaranta ore, cinque giorni a settimana finchè muori, facendo le cose nel modo
più duro, è questo ciò di cui parlano molte delle nostre canzoni". Ci viene in
soccorso la voce stessa di Ethan Anderson, leader e bassista dei Massy Ferguson,
per sintetizzare con spietata efficacia la direzione verso cui si incammina questo
quartetto dei sobborghi di Seattle, più volte richiamato sulle nostre pagine (e
anche intervistati
in occasione del precedente Hard Water). Puro spirito blue collar americano dunque,
anche se contaminato da una familiarità con le radici del rock'n'roll e quell'area
di confine che spesso li ha "condannati" nelle fila interminabili dell'alternative
country. D'altronde il loro raggio di azione staziona leggermente più a nord rispetto
al grande polo di attrazione musicale di Seattle: sono originari della Snohomish
County, capoluogo Everett, e della vita in una small town mettono insieme tutti
i luoghi comuni e tutte le certezze che vi aspettereste da una band che ha rubato
il nome ad una marca di trattori (senza vergognarsene, come è giusto che sia)
e non disdegna affatto di abbozzare traiettorie country e blues nelle sue chitarre.
Il suono dei Massy Ferguson si è fatto però, strada facendo, più smaliziato,
maturo, seguendo l'istinto ma anche l'esperienza e il piglio stradaiolo di Hello!,
il sobbalzare di Renegade e Compromised
Intentions, il codazzo melodico di piano e organo in Everything's
Done e Wait Love Maybe sono qui
a testimoniare la cresicta di una piccola band di provincia che offre buone vibrazioni,
fedeltà ai classici ma anche una dignità che appartiene solamente a quella "serie
b" americana che riempie i locali meno battuti. A questo turno (il quinto, se
si contano anche un paio di ep di raccordo, l'ultimo dei quali Damaged Goods targhato
2011) la produzione di Johnny Sangster (nome solido della scena rock locale che
vanta collaborazioni con Mudhoney e Supersukers) ha smussato e reso coerenti chitarre
e voci, senza togliere quel giusto grado di innocenza e immediatezza che questo
roots rock operaio deve mantenere.
Sarà per questo che l'onestà elettrica
di 2am beauty Queen e
Labor in Vain rimanda alla prima stagione dell'alternative country,
quando si guardava meno all'old time e alle anticaglie folk e più alle valvole
degli amplificatori: Bottle Rockets, Say Zu Zu, i dimenticati Backsliders, volendo
fare un passo indietro anche Beat Farmers e Long Ryders, questa la compagnia che
Ethan Anderson e soci rievocano, parlando di eroi locali, fughe dal grande nulla,
donne e alcol. Il solito campionario starete pensando voi, ma avreste per caso
qualche richiesta diversa da gente come i Massy Ferguson? Loro aggiungono un'armonica
e un twangin' sound incalzante che sa di Texas lontano un miglio in Flexed-Harm
Hang, un'inedita dolcezza da tramonto country in Hard
Way (alla seconda voce la brava Zoe Muth) e quella malinconia
per chitarre e pedal steel che non manca mai in un disco di questa pasta (Apartment
Downtown). Di più non è lecito chiedere, ma sapete cosa vi dico: il fatto
è che potrebbe anche bastare così.