Otis Gibbs
Harder than Hammered Hell
[
Blue Rose  
2012]

www.otisgibbs.com
otisgibbs.bandcamp.com


File Under: country folk, singer songwriter

di Emilio Mera (25/04/2012)

Appena due anni fa Otis Gibbs con quel suo Joe Hill's Ashes ci regalò un estratto di puro e vecchio folk fatto col cuore e cantato con l'anima, un album di grande impatto emotivo per tutti gli amanti del suono americano. Di ben altra fattura è questo sesto capitolo della sua discografia, dal titolo Harder Than Hammered Hell. Se nell'album precedente la strumentazione era ridotta all'osso e grande spazio era dato alla sua voce in solitario, in questa sua nuova fatica maggiore libertà è lasciata alla strumentazione elettrica e alla band coinvolta. Prodotto da Thomm Jutz, che oltre ad essere seduto in cabina di regia, suona le chitarre, il disco vede la partecipazione di Paul Griffith alla batteria e di Mark Fain al basso (oltre alla compagna Amy Lashley alle voci). I testi del cantante di Wanameker, Indiana rimangono diretti ed espliciti come un pugno allo stomaco con quell'accento politico che ha caraterrizato tutte le sue raccolte, raccontandoci di losers, disperati e persone bisognose che stanno affrontando al meglio la crisi che attanaglia gli Stati uniti, seguendo l'insegnamento di folk singer come Woody Guthrie, Pete Seeger, Phil Ochs e Eric Andersen.

In Harder Than hammered Hell quello che forse sembra non funzionare non è la voce di Otis, né i suoi testi, ma il suono complessivo troppo legato a un country folk dai contorni elettrici che rimangono sfuocati anche dopo vari ascolti. Nell'iniziale Never Enough la voce rimane quella roca e profonda del precedente mentre la strumentazione, che entra piano piano nella ballata, poco si addice alla sua voce. Il singolo Made To Break é la classica ballata di Otis Gibbs, ben strutturata, che anche qui presenta un solo di chitarra ad assecondare la sua voce. Broke and Restless presenta un testo commovente, inizia soffusa per trasformarsi in seguito in un uptempo dove la compagna Amy da una mano ai cori.

La lunga ballad Don't Worry Kids, anche se presenta i suoi momenti e riesce a tratti scaldarci l'anima, suona troppo poco combattiva rispetto al passato del cantante dell'indiana; la divertente Big Whiskers, scritta a quattro mani con l'amico Adam Caroll (ben conosciuto alle nostre latitudini), sembra rubata dal repertorio di Johnny Cash (pare a tratti di ascoltare Walk The Line) con suoni molto country outlaw e Adam alla seconda voce. Christ Number Three ha quel feeling tanto caro a Mellencamp/Springsteen mentre The Land of Maybe rimanda alle sonorità di un precedente lavoro di Gibbs, Grandpa Walked The Picketline, e ci racconta delle difficoltà di vivere con isoldi contati sempre sulla "BreadLine". L'onesta Detroit Steel sembra un outtakes sbiadita di Bob Seeger e anche in Dear Misery il riff di chitarra copre l'intensa voce di Otis. Indovinate sono le due ultime ballad Second Best e Ballad For Mackensie, forse troppo poco per quello che ci aspettavamo da lui. Speriamo sia solo un disco di transizione, ti aspettiamo al prossimo caro vecchio amico.



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