Jude Johnstone
Shatter
[
Bojak Records
2013]

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File Under: singer-songwriter, pop d'autore

di Fabio Cerbone (21/05/2013)

Il sospetto è che Jude Johnstone continuerà ad essere ricordata soltanto come "quella che ha scritto Unchained", ballata di rara intensità che ebbe soprattutto l'onore di intitolare uno degli American recordings di Johnny Cash (e di ricevere naturalmente l'interpretazione di quest'ultimo). In verità sono diversi anni che andiamo sostenendo il talento di questa ragazza un po' cresciuta ormai, giunta a Los Angeles in cerca di fortuna e finita sotto l'ala protettiva del "big man" Clarence Clemons, il primo a credere nel suo talento, a registrarne i brani e a farle da pigmalione, presentando le sue composizioni al bel mondo della canzone americana. Nel tempo in lei hanno confidato Emmylou Harris, Bonnie Raitt, Jennifer Warnes, naturali anime gemelle per stile e radici comuni, ma anche colleghi maschi, tra cui buon ultimo Rodney Crowell, che introduce le note di presentazione di Shatter sottolineando la tenerezza e semplicità con le quali Jude Johnstone affronta i temi della perdita e delle incomprensioni di coppia, argomenti spesso a rischio di banalità e luoghi comuni.

Sesto episodio ormai di una carriera discografica indipendente, altrettanto importante rispetto all'attività di sola autrice, Shatter è in effetti l'ennesima dimostrazione dell'eleganza interpretativa di Jude, una scrittura che richiama immediatamente la lontana stagione californiana di Rickie Lee Jones (con l'aggiunta di certe finezze confesionali alla Carole King), non dimenticando i loro contraltari maschili Tom Waits e Randy Newman, di cui la Johnstone riprende i fili di una canzone d'autore imbevuta di toni gospel e bluesy un po' notturni e malinconici, a cominciare dalla sensuale What a Fool e finendo con la tromba di Dan Savant a scorazzare in Halfway Home e The Underground Man. Il filo rosso, come anticipato, è una lunga disamina sui rapporti di coppia, sulle cose non dette, certa rassegnazione che assume anche un tono di spietata saggezza (Alcohol), ma sa anche sfiorare un romanticismo spicciolo e commovente (la chiusura con Your Side of the Bed).

Musicalmente il vestito più adatto per questa sceneggiatura è fornito da una serie di ballate fuori tempo, che proseguono lo stesso tracciato dei precedenti Blue Light e Mr Sun, affinando sempre di più gli arrangiamenti: Shatter reclama fin da subito cadenze gospel, chiamando in causa le backing vocals di Maxayn Lewis, mentre la solarità pop rock di When Does Love Get Easter è pura California alla Stevie Nicks. Questo avvicendamento fra giorno e notte, tra luci e ombre, segnerà buona parte dell'album, forse il più maturo della recente produzione di Jude Johnstone: non manca l'affettata grazia che l'ha sempre contraddistinta in Girl Afraid, alternata però ai tocchi jazzy di Touchdown Jesus, bel omaggio a New Orleans pare ispirato da un incontro con Dr John e colorato dalle note di organo di Radoslav Lorkovic, e al pop spuzzato di caraibi della conclusiva Free Man. Cantautorato di classe, qualche volta a rischio di una certa maniera, ma lontano finalmente dai cliché neo-folk a cui troppe giovani colleghe si concedono oggigiorno.


     


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