Patrick Sweany
Close to the Floor
[
Nine Mile records
2013]

www.patricksweany.com


File Under: groovy southern music

di Fabio Cerbone (31/08/2013)

La provenienza geografica e certe amicizie artistiche sono il campanello d'allarme per comprendere il mondo musicale attorno al quale ruota Patrick Sweany. L'Ohio non è esattamente la culla del blues e se per questo neppure dell'intero albero genealogico della black music, ma è pur vero che da quelle parti è giunto il vento di rinnovamento dei Black Keys e, guarda caso, insieme a Dan Auerbach il buon Sweany ha trascorso un parte consistente della sua carriera: un primo tratto di strada in alcune band locali, quindi un sodalizio che ha portato il leader dei Black Keys a produrre due dei quattro precedenti lavori di questo chitarrista e autore della cittadina universitaria di Kent. Da qualche tempo Sweany ha deciso di correre con le proprie gambe e dopo un altrettanto significativo scambio artistico con Jorma kaukonen, ha preso la via di Nashville, portando a compimento una maturazione che dal precedente That Old Southern Drag giunge naturalmente al qui presente Close to the Floor.

Fatto della stessa corposa pasta southern blues e soul, ma con toni più sfumati e ricchi di groove, l'album completa lo spettro delle influenze di Sweany, un ragazzo partito con l'amore incondizionato per Lightnin' Hopkins e Bobby Blue Bland, ma che ha finito per condensare la scuola country blues con il garage rock rubato ai sixties, il voodoo di Dr. John con le paludi di Tony Joe White. La sintesi è tutta da ascoltare tra il serpeggiare di Working For You e la solarità innata di It's Spiritual, un brano che occhieggia fin dal titolo. Chitarrista miracolosamente misurato, nonostante qualità che potrebbe sfoggiare con più narcisismo, Sweany tiene in serbo l'altra sua arma vincente, una voce densa e caricata con i proiettili del soul, elemento che fa la differenza rispetto alle tante varienti di questo suono ascoltate in anni recenti. Non ci sono canzoni clamorose in Close to the Floor e forse proprio la profondità del sound riprodotto è l'elemento che colpisce d'impatto, ma è anche vero che l'intensità dell'interpretazione in Every Night Every day, blues scheletrico scandito dal basso di Ron Eoff e dai tamburi di Jon Radford, riporta ad un approccio minimalista e ipnotico che solo una strana fusione tra Junior Kimbrugh e la Chicago di Buddy Guy potrebbe far pensare.

Tutta la prima ideale facciata è comunque una bella lezione di stile, in cui Patrick Sweany si cala nella doppia veste dell'archeologo esperto e del giovane musicista appassionato: Bus Station scandisce un passo rock sixties e chitarre immerse in tremolii vintage, The Island recupera elasticità e morbidezza soul e Every Gun chiude lo spettro delle colorazioni black tornando al fango blues del Mississippi. Il partner artistico e produttore Joe McMahan aggiunge spesso piccole sfumature, ambientazioni, tocchi di colore che rendono Close to the Door un disco poco ortodosso nel genere. In questo ricorda certamente la filosofia di Dan Auerbach, specialmente quello solista, e sia la citata Every Gun, sia il boogie alla John lee Hooker di Terrible Years, sguciando per la flessuosa melodia di Slippin' non si limitano ad omaggiare un genere, ma ci mettono un carattere ben riconoscibile.


    


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