Phosphorescent
Muchacho
[Dead Oceans 2013
]

www.phosphorescentmusic.com


File Under: cosmic american music

di Fabio Cerbone (17/04/2013)

Da più parti si è letto di un ritorno di Matthew Houck, in arte Phosphorescent, ad un certo "sperimentalismo" sonoro applicato alle sue ballate, qualcosa che lo riportasse alle tensioni a bassa fedeltà degli esordi, a quel periodo di folk stralunato e po' freak che aveva scomodato paragoni insostenibili con Will Oldham e tutta la nuova generazione di tormentati foksinger americani. Quel momento artistico sembrava ormai alle spalle, prima con l'interlocutorio (ma rivelatore) tributo alla musica di Willie Nelson (To Willie), quindi con il piccolo capolavoro personale di Here's To Taking It Easy, album di apertura verso il "classico", omaggio o meglio fascinazione per il country rock dei seventies e in particolar modo per il linguaggio di Neil Young. Difficile pensare che Muchacho, pur con tutta la stravaganza del titolo e di alcuni suoi passaggi, sia un ritorno nel guscio. Ecco perché ci appare più come un punto di approdo del suo percorso artistico che non un passo indietro verso le origini o persino un netto cambio di marcia.

Certo, se si dovesse buttare uno sguardo alle invocazioni di Sun, Arise! (An Invocation, An Introduction) e della speculare Sun's Arising (A Koan, An Exit) in chiusura, avvolte da stratificazioni di riverberi e parti vocali che sembrano condurre agli estremi certo manierismo alla Fleet Foxes, si sarebbe tentati di girare i tacchi all'istante. Muchacho sarà anche un disco eccessivo, ridondante, persino molesto in alcuni frangenti (lo è certamente per chi pensava di avere a che fare con un piccolo fratello di Bonnie Prince Billy), ma in realtà nasconde un cuore lirico compassionevole e disarmante, con testi che aprono l'anima e il cuore dell'autore, facendo quasi supporre che si tratti di un'opera catartica. Non si rimane dunque indifferenti al profluvio di fiati, tastiere, violini e pedal steel (il bravissimo Ricky Ray Jackson) che trasformano A Charm/A Blade, Terror in the Canyons (The Wounded Master), la dolcissima A New Anhedonia e meglio ancora la mezza meraviglia di The Quotidian Beasts in una specie di inno "cosmico" del suono Americana, incrociando tradizione folk, walzer mariachi e sognante psichedelia, un'inquietudine ineludibile della voce e una sensibilità tutta moderna di chi è cresciuto dentro il vocabolario dell'indie rock di oggi.

La parte più straniante di Muchacho - disco di contrasti e rappacificazioni, a cominciare dalla copertina allusiva e da un contenuto che spazia dal sobrio all'autentica grandeur - è posta in partenza, tra i loop elettronici e gli intrecci della cantilena Ride On/Right On, o ancora nei lontani sintetizzatori di Song for Zula, ma Phosphoresent sembra avere rimandato ad un ulteriore episodio la sua possibile trasfigurazione: il resto è nuovamente un'unica, struggente elegia per la West Coast più eterea e la lezione lontana del country rock: dalla toccante melodia per piano e steel di Down to Go al walzer straniante di Muchacho's Tune. Un disco di trasformazione e al tempo stesso di piena consapevolezza artistica.


     


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