Jason Isbell
Something More than Free
[
Southeastern Records
2015]

www.jasonisbell.com

File Under: southern guy

di Fabio Cerbone (01/08/2015)

Il songwriter sudista, l'orgoglioso figlio di Green Hill, Alabama, cresciuto rubando i segreti dai maestri dei Fame Studios (stavano a due passi da casa sua) è ormai diventato adulto, completando una costante maturazione, che oggi lo ha portato ad essere uno dei più credibili cantori dell'animo americano. Jason Isbell concede un secondo tempo dopo Southeastern, l'album della consacrazione in termini di critica e pubblico, e in un certo senso anche della svolta definitiva nella direzione di un'Americana d'autore, meno avvezza alla "collera" southern rock degli esordi, più attenta ai dettagli delle parole. Something More Than Free inizia esattamente là dove il precedente lavoro finiva, accomunato anche per semplici motivi musicali dalla produzione di Dave Cobb, ormai Re Mida delle produzioni più chiacchierate dell'altra Nashville.

Le stesse tematiche tuttavia ribadiscono l'approccio di Isbell, uno che ha capito come la migliore canzone americana scaturisca dalle ferite, dai cuori spezzati (e da qualche bicchiere vuoto al bancone del bar) e come trovi la sua catarsi nelle speranze di tutti i giorni, in una nuova famiglia (nel frattempo il matrimonio con la violinista Amanda Shires ha portato all'imminente nascita di un figlio) o nella semplice "fortuna" di avere ancora un lavoro (lo canta nella stessa Something More Than Free, con una sensibilità che pare uscire dalle visioni di un giovane Springsteen). Non gioca dunque la carta della sorpresa questo quinto capitolo solista, semmai ricalca le certezze di una formula che pone Jason Isbell al vertice del songwriting tradizionalista, nome che da discepolo è diventato in fretta un maestro. Tutto ciò elimina in parte il fascino che poteva avere il suo predecessore, ma non cancella la forza di una musica che mette in sequenza la fragilità del sospiro folk acustico in Flagship, la coralità e le gioie della southern music (la partenza brillante di It Takes a Lifetime), il candore di certe melodie degne di Ryan Adams (24 Frames non starebbe forse bene in un suo disco?) o di Tom Petty, per citare i padri putativi, la personalità di riflessioni e versi che passano dall'ironia di How to Forget, tersa ballata dai colori roots alla schiettezza di The Life You Chose, squisito momento dai contorni pop.

Dunque toni da nero americano si alternano questa volta con piccole rivelazioni, offrendo una luminosità inedita al disco, che si svela nel dialogo tra fiddle (Amanda Shires) piano e chitarra nell'instant classic Something More Than Free, nella dolcissima speranza di Hudson Commodore, prima di esplodere nel groove autenticamente sudista e funky di Palmetto, l'episodio più squisitamnete rock della raccolta. Sfiora ricordi personali Jason Isbell, che toccano il tema dei genitori e della famiglia (la drammatica Children of Children, con l'intensità di archi e chitarra slide nel crescendo finale) e quella delle passioni musicali (la dedica finale di To a Band That I Loved per i Centro-Matic, band alt-rock texana con cui ha condiviso un tratto di storia), cercando, per sua stessa ammissione, una rinascita o meglio una celebrazione.


    


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