Mavis Staples
If All I Was Was Black
[Anti-/ Self
2017]

mavisstaples.com

File Under: signora in black

di Gianuario Rivelli (01/12/2017)

Tutto è cambiato (primo presidente afroamericano ad entrare nella Casa Bianca) perché nulla cambi (la questione razziale è tornata urticante nell'agenda a stelle e strisce). Chissà se l'icona black Mavis Staples abbia mai sentito parlare di Tomasi di Lampedusa, ma queste dieci nuove canzoni sono proprio la risposta alla delusione di una donna che assiste a nuovi conati di divisione nella società americana, proprio quando sembrava che anni di lotta e sangue versato in tempi ormai lontani (cinquant'anni dall'assassinio di Martin Luther King, amico della famiglia Staples, ma anche dal massacro di Detroit, in questi giorni sugli schermi con la firma Kathryn Bigelow) avessero cambiato finalmente le cose.

Non è così e secondo Mavis e Jeff Tweedy (leader dei Wilco) - alla terza collaborazione dopo gli ottimi You're Not Alone (2010) e One True Vine (2013) - dovere dei musicisti è non restare indifferenti e fare politica attraverso le canzoni. Tuttavia chi, date le premesse, si aspetta testi al veleno e rabbia sputata nel microfono resterà completamente spiazzato; la filosofia di donna Mavis è agli antipodi: all'odio si risponde con l'amore, l'empatia e la speranza. All'odio si risponde con If All I Was Was Black, disco vellutato che crede nel potere taumaturgico e conciliante della musica. Qua e là nei testi (This life surrounds you/ The guns are loaded oppure There's evil in the world and there's evil in me) e nei suoni (linee di basso che a volte si fanno cupe) qualche traccia di adombramento c'è, ma il passo è sempre felpato e l'atmosfera generale è balsamica. Tweedy, che scrive, produce e suona la chitarra, decide opportunamente di non strafare, creando degli ambienti sonori non invasivi che il carisma e la voce della illustre concittadina possano riempire.

Il gospel lascia il proscenio a ritmiche funk alternate a morbidezze folk, mentre le evoluzioni alla Wilco sono ridotte all'essenziale. In tal senso emblematica è la title track, un folk solare in cui Mavis ripete come un mantra I got love mentre Tweedy cuce le strofe con un assolo indie rock. In partenza si era fatto vivo il primo notevole groove funk nell'ammaliante Little Bit e altri ne verranno, soprattutto in No Time for Crying che ribolle di un ritmo ipnotico che si inchioda nella testa. Magmatica e perfettamente centrata anche Try Harder, con il suo rock blues da antologia. La componente spirituale e rilassata è assicurata da Ain't No Doubt About it, dal soul di We Go High (We go high when they go low/ I know they don't know what they're doing è un'altra lirica emblematica), dal fingerpicking di All Over Again.

Tutto di gran classe pur senza raggiungere le vette dei capolavori. A 78 anni, ben sei decadi dopo gli esordi con gli Staple Singers, Mavis Staples è ancora in prima linea, fiera nel portare avanti il suo discorso musicale che non può prescindere dall'impegno sociale. Un pugno di canzoni può ancora essere il veicolo del cambiamento, la sutura delle ferite, il punto d'incontro. Se lo dice una come lei, è il caso di crederci.


    


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