The Orphan Brigade
To the Edge of the World

[The Orphan Brigade/ Appaloosa 2019]

theorphanbrigade.com

File Under: irish americana

di Pie Cantoni (08/10/2019)

Come suonerebbero oggi i Mumford & Sons se fossero stati un po’ meno piacioni? Quale sarebbe stato il risultato del mix tra Americana/irish folk delle Seeger Sessions di Springsteen se il Boss si fosse attenuto a canoni più tradizionali? O i Sixteen Horsepower se fosse stata staccata loro la spina (elettrica)? Probabilmente non lontano da questo terzo lavoro degli Orphan Brigade, al secolo Neilson Hubbard, Ben Glover e Joshua Britt, che in questo nuovo capitolo si spostano sulla costa irlandese, nel mitico Antrim di Belfast, del Titanic e del gigante Fionn Mac Cumhaill, che costruì sul mare una scala di roccia per raggiungere la Scozia (le Giant’s Causeway).

Dopo aver registrato il primo disco in America inseguendo i fantasmi della guerra civile, il secondo in Italia a Osimo, il terzetto si sposta nella terra natia di Ben Glover e prende spunto dalle leggende locali e dai luoghi (tutto descritto meticolosamente nelle note) per scrivere i quattordici brani di questo To the Edge of the World. La formula non cambia: americana gotica, intrisa di folk irlandese, country pastorale, folk rock energico ed echi di southern music, con una pletora di musicisti a fare da contorno (e non solo, se pensiamo alla presenza di John Prine). Le canzoni - vero o no - sono state composte in vari luoghi della costa dell’Antrim (castelli, scogliere, spiagge), ma il tutto è stato registrato nell’antica chiesa di St. Patrick a Glenarm. L’acclimatamento inizia subito con le cornamuse in Pipes’ Intro che lasciano spazio alla ballata Mad Man’s Window, al suo mandolino battente e al ritmo incalzante dell’acustica.

La mitologia folk irlandese (di cui esiste sterminata letteratura, da Yeats a Stephens) è il tema centrale di Banshee, ma le leggende, fra marinai, druidi, spiriti e amori impossibili, percorrono tutto il disco, così come percorrono ancora oggi tutta l’isola di smeraldo, dalle coste di Cork alle scogliere del Donegal. Passando per il valzer di Isabella e per il cammeo di indiscutibile pregio da parte di John Prine in Captain’s Song (Sorley Boy), che viene arricchita dalla sua voce carica di emozioni e pathos, il disco scorre veloce. Echi d’Irlanda ma anche di Guerra di Secessione americana, fra cornamuse e note di mandolino, ci raccontano in musica storie di altri tempi, come se fossimo davanti ad un gruppo di menestrelli medievali. Il terzetto sa decisamente come arrangiare i brani e dappertutto ci sono cori particolarmente azzeccati, giri di chitarra che catturano l’attenzione, ritornelli che verrebbe voglia di cantare a squarciagola.

Se si volesse trovare una pecca a questo disco, la troppa continuità stilistica con i precedenti e un po’ di "scontatezza" nell’insieme. Ma a questo giro di pecche non ne vogliamo trovare e quindi ci ascoltiamo To the Edge of the World rispolverando i nostri ricordi della verde Irlanda, beandoci al suono di arpe e del tin whistle e immaginandoci ancora una volta là, al confine del mondo.


    


<Credits>