Gill Landry
Skeleton At The Banquet

[Loose music/ Goodfellas 2020]

gilllandrymusic.com

File Under: country noir

di Davide Albini (06/02/2020)

Ritrovandosi con una voce così - scura, profonda, dello stesso stampo di gente come Johnny Cash, o magari di un Leonard Cohen convertitosi al country più nero - Gill Landry può far risaltare certe sfumature e andare a nozze con un repertorio denso nelle tematiche. Accade proprio questo nel suo quinto album solista, Skeleton At The Banquet, nove brani composti dal cantautore americano, originario della Louisiana, nel corso di un soggiorno in un piccolo villaggio della Francia, la scorsa estate. Tenendo lo sguardo distante dall’oggetto, quella “allucinazione collettiva”, come la definisce l'autore stesso, che è diventata l’America attuale, Landry riunisce ballate di pena e di amore, personale e sociale, forse incidendo il suo disco più convincente in carriera.

Parte attiva degli Old Crow Medicine Show per una decina d’anni, insieme ai quali ha registrato quattro album, nel frattempo anche solista (l’esordio nel 2007), Landry ha prodotto il nuovo disco a Los Angeles con il bassista Seth Ford-Young, suonando gran parte degli strumenti. Non eravamo stati teneri con il predecessore, Love Rides a Dark Horse, che pure aveva ottenuto riscontri generosi dalla critica americana e inglese (Landry pubblica in Europa per la specializzata Loose Music), un lavoro troppo accartocciato su se stesso, sulla distanza monotono nelle melodie. La caratteristica del musicista però deve essere questa, perché anche Skeleton At The Banquet si presenta con atmosfere assai omogenee, una sorta di country&western rivisitato con il piglio di un Nick Cave, ballate folk rock e alternative country in abito scuro che sfruttano gli echi distanti della chitarra (l’affascinante apertura con I Love You Two e il suo inconfondibile twang sound) e naturalmente della voce non comune di Gill Landry, o ancora armoniche “dylaniane” (The Wolf e Angeline), rintocchi di violino e pianoforte (la dolcemente drammatica A Different Tune, che mi ha ricordato il compianto Robert Fisher dei Willard Grant Conspiracy).

L’insieme possiede però più idee e forza che in passato, forse complice anche la dura consistenza dei testi, e tutto il disco acquista fascino strada facendo: Nobody’s Coming e The Refuge of Your Arms sono due ballate bluesy, immerse in un’atmosfera dark da bassifondi, un po’ alla Tom Waits prima maniera, con una tromba che tradisce le origini di Landry a New Orleans; Trouble Town sfodera un violino zingaresco che la accompagna per mano e richiama davvero Leonard Cohen; mentre Portrait of Astrid (A Nocturne) è un seducente e curioso finale, titoli di coda che scorrono su uno strumentale da crepuscolo western in una notte buia.


    


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