Sam Baker
Say Grace
[Sam Baker
2013]

www.sambakermusic.com


File Under: Loner Texan songwriter

di Emilio Mera (11/09/2013)

Un nuovo disco di Sam Baker è un evento speciale non solo perché è dal 2009 che lo stiamo aspettando, ma per la sua abilità nel raccontare la vita di personaggi comuni (proprio come John Prine) con quella voce triste, sincopata e molto spesso parlata, capace di aprire il cuore. Il titolo é semplicemente Say Grace, un grazie alla vita che uno ha, senza importanza per quello che uno possiede, per l'auto che guida o per i soldi che uno tiene nel conto corrente. Sam Baker ha deciso di dedicarsi alla musica proprio dopo essere miracolosamente sopravissuto a quel maledetto attentato terroristico ferroviario avvenuto nel 1986 in Perù, che ha visto la morte di ben 17 persone; Sam, dal canto suo, ha riportato varie ferite, danni celebrali e la perdita dell'udito a un orecchio. Pur essendo, a parere dello stesso Sam, il suo disco più orchestrato, (presenti vari ospiti come Gurf Morlix e Anthony Da Costa alle chitarre, Rick Richards alla batteria, oltre alle brave Carrie Elkin e Raina Rose) Say Grace rimane "appena una spanna" sotto l'inarrivabile trilogia (La "The Mercy Trilogy") costituita da Mercy, Pretty World e Cotton. Baker possiede una delle voci più calde nell'attuale panorama dei songwriters americani, cui si aggiunge un innato talento non solo nel disegnare piccoli quadretti, ma nel creare nelle sue canzoni piccoli documentari in cui i personaggi sono persone comuni. Nonostante ciò qualcuno ancora si chiede come mai Sam dopo ben quattro album non sia conosciuto al di là del confine texano-americano e da qualche addetto ai lavori (l'album è ancora autoprodotto).

Come negli album precedenti ascoltare Say Grace si rivela a tutti gli effetti "un'esperienza intima" per l'ascoltatore, come se il cinquantanovenne texano stia cantando "solo per chi lo sta ascoltando". Molti riconosceranno nelle sue ballad le stesse persone, le stesse storie o le stesse situazioni a quelle descritte dettagliatamente a cominciare dalla delicata e soffusa titletrack dove, con un leggero fingerpicking, Sam ci racconta della favola di una donna che si guarda allo specchio e ricorda di essere stata una bella ragazza, scappata di casa, la quale ha trovato un buon lavoro con un boss un po' impertinente e che l'ha lasciato per scappare un'altra volta con un ragazzo molto più giovane di lei. Il tutto raccontato con il cuore e la chitarra in mano. The Tatoeed Woman è più rabbiosa ed è accarezzata dal piano che diventa, con il susseguirsi delle note, sempre più nera, oscura e avvolgente con quel coro "Rain is Coming" che riecheggia nelle orecchie. Road Crew rialza i toni con una ballata dal sapore "Van Zandtiano" dove fa capolino un dolce violoncello che si contrappone alla acustica di Sam e con un finale (quel triste sha la la) di "Lou Reediana" memoria.

La dolce Migrants (una sorta di Deportee dei nostri giorni) è uno degli apici più commoventi della sua carriera e viene aperta come un brano tex mex dall'accordeon, prima di entrare in un triste monologo che racconta della morte di 14 immigranti messicani che hanno tentato di varcare il confine prima di essere uccisi e dopo aver ricevuto solo un articolo di dodici misere righe nel giornale locale. White Heat sembra più che altro una stonata cantilena un po' ripetitiva con Carrie Elkin alle voci (che ha voluto restituire il favore di aver cantato sul suo ultimo disco) e con un'orchestra dietro a tracciare le linee condotte dalle due voci. La semplice Ditch intessuta sopra qualche semplice accordo di chitarra esamina la working class e i problemi finanziari che attualmente attanagliano tutte le famiglie, mentre la pianistica Interlude introduce la semplice e toccante Isn' t Love Great dove si affacciano alcuni fiati che sembrano provenire da una processione funeraria di New Orleans. L'inusuale Feast sa di cabaret e Kurt Weil e ricorda le prime cose di Tom Waits con una chitarra (quella di Gurf Morlix) tagliente come un rasoio e forse un po' fuoriposto. Panhandle Winter ci fa accarezzare i desertici paesaggi texani, mentre Button By Button sembra uscire dagli ultimi album di Leonard Cohen. L'album termina con la breve Go in Peace e ora dobbiamo dire noi grazie a Mr. Baker per la musica che ci regala a ogni suo disco.




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