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american music di
Silvio Vinci (25/04/2013)
I Deadstring Brothers mi hanno fatto tornare voglia di rimettere su i vecchi
dischi di Gram Parsons: ero incuriosito da una pagina web che li descrive vicini
al sogno della "Cosmic American Music", e ammetto di riconoscere un certo filo
logico, una linea di sangue comune. Non abbiamo qui una band di primo pelo, ma
esperti giovanotti con alle spalle già diversi bei lavori (Sao
Paulo del 2009 è quello che merita particolare menzione), e un'estrazione
artistica che passa inevitabilmente dalle radici, cresciuta con il rock di Exile
On a Main Street e Music from Big Pink, per coagularsi in una costola del genere
Americana, debitrice dei settanta più che del country rock revival degli anni
90. Il gruppo è capitanato da Kurt Marschke (voce e chitarra), con base a Detroit,
gli altri, Philip Skarich (basso) Ross Westerbur (piano), Travis Harrett (batteria)
e Masha Marjieh (voce e cori) hanno seguito fedeli il leader da varie parti del
mondo. Recensire questa musica è facile perché la ascolto da sempre e l'amo, a
prescindere dall'originalità, dalla posizione geografica o dall'anno di pubblicazione,
ed è allo stesso modo difficile perché potrei mancare di obbiettività, ammetto
questo limite.
Al primo ascolto si capisce subito che il canovaccio non
ci darà spazio a sorprese, ma a più riprese Cannery Row dei Deadstring
Brothers cresce, brano dopo brano; c'è una sorta di consapevolezza, di rilassatezza,
la band sa quello che vuole e mi ci porta: Cannery Row è un disco veramente bello.
C'è tutto il sound dei primi 70, dagli Stones classici al Dylan di Blood On the
Tracks, dalle ballads west-coastiane fino al recupero del blues e del country
rock dei giorni nostri, Rispetto ai precedenti dischi, più rock se vogliamo, si
tratta diversamente di una raccolta di ballate. E' proprio la title track, Cannery
Row, che apre le danze, e si va sull'usato sicuro, ballata pianistica
strascicata, mi ricorda i colori autunnali di After Gold Rush, con pedal steel
e fraseggi di hammond suonati nella stanza accanto, egregia anche l'interpretazione
vocale. It's Morning Irene e Just
a Deck of Cards,secondo
e terzo brano in scaletta, sembrano outtakes di Sticky Fingers, devote fotografie
del tempo che si è fermato. Like a California Wildfire cantata a due voci,
è da brividi, straziante ballad con pedal steel su tema e giro di accordi country
rock che fu caro a Gram Parsons, abusato all'infinito ma sempre efficace. Long
Lonely Ride è tutta la vita Exile on a Main Street (molto simile a
Sweet Virginia), ma per me va bene così. Lucille's Honky
Tonk parla da sé, sempre in stile Stones (questa volta fa il
verso alla bella Wildflowers). Oh Me Oh My mi
ha strappato la pelle, questa meravigliosa ballad entra di diritto tra le migliori
canzoni del 2013: doppie voci, un hammond southern a ricamare e melodia che scorre
sul perfetto gioco rullante/ride, e tre accordi semplici ma perfetti.
Ancora
ballate, costante del disco, per finire: Song For Bobbie
Jo, lenta e dolcissima, Talkin with a Man
in Montana, impreziosita dal bluesy intro di slide guitar e sorretta
da un organo leggermente distorto, sono le perfette compagne di un viaggio in
autostrada, dove lo sguardo pensieroso si perde assorto al tramonto, fino alla
conclusiva, harvestiana, The Mansion struggente
nenia che tanto mi ricorda le canzoni del grande Van Morrison, quello di Tupelo
Honey per intenderci, musica dolce per cuori feriti e sogni nel cassetto. Non
conoscevo i Deadstring Brothers, ho riascoltato i loro vecchi dischi e
me ne sono innamorato, credo che abbiano raggiunto con questo Cannery Row, la
giusta maturità e la consapevolezza di essere inevitabilmente figli riconoscenti
dei grandi maestri del rock, quello che si suonava e si suona a Nashville, in
California, a Londra, in Alabama e nel New Jersey. Gioiellino.