Giant Giant Sand
Tucson
[
Fire records  
2012]

howegelb.com
www.firerecords.com

File Under: country rock in the sand

di Fabio Cerbone (02/07/2012)

Il vento soffia, la polvere del deserto si alza, il walzer di Howe Gelb prende quota: il dolce cullare di Wind Blown Waltz dischiude il mondo di Tucson, "country rock opera" a detta dello stesso magnetico leader dei Giant Sand, che rilegge fascinazioni e immaginari western lunghi trent'anni di carriera, con rinnovato spirito di avventura. Questi sono i Giant Sand 'al quadrato' del 2012: proprio così, la sigla raddoppia come da titolo, quasi a ribadire che Tucson è il suono che gira nella testa di Gelb all'ennesima potenza, parodia e sublimazione al tempo stesso di un intero universo al confine tra civiltà americana e desiderio messicano, dando forma ad un melting pot di umori che attraversano la bellezza di diciannove brani. Esagerato, prodigo, certamente bisognoso di qualche assestamento, Tucson è tuttavia uno degli album pià accessibili (e comprensibili) dell'intera storia dei Giant Sand. Un mezzo miracolo, considerando che agli stretti collaboratori di queste recenti stagioni (i musicisti danesi che lo hanno accompagnato nel già positivo Blurry Blue Mountain), Gelb ha aggiunto le voci e il supporto di Lonna Kelley (alter ego feminile del nostro, sorta di femme fatale nella storia narrata), Brian Lopez, Gabriel Sullivan, e ancora la pedal steel di Maggie Björklund, Asger Christensen e Iris Jakobsen agli archi, la tromba di Jon Villa, più una decina e passa di personaggi sparsi, raccolti strada facendo o nella stessa Tucson.

Il canovaccio è un pretesto bello e buono: un uomo alla deriva, lascia i suoi averi e la sua città in cerca di avventura. Il set è naturalmente il deserto dell'Arizona, il border messicano popolato da anime ferite, saltando fra localacci, bordelli, vecchi saloon e prigioni, trovando anche un amore pericoloso sullo sfondo di un disfacimento umano. Lo sviluppo è Giant Giant Sand, appunto: un compendio del pensiero musicale che anima Gelb, ruotando però lo sguardo più che mai alla tradizione. Da qui l'impressione che Tucson sia quasi la rivincita dei suoi compadres Calexico sotto mentite spoglie, o se preferite la vendetta dello stesso Gelb che rientra dalla finestra, tanto le influenze sono state reciproche. Come a ribadire che il maestro di certo country rock sbuffante e desertico rimane ancora lui: nei tre tempi in cui si sviluppa la divina Forever and a Day, tra le movenze mariachi dilatate di Detained, in faccia al sole ardente di Lost Love e lungo la notte misteriosa di Plane of Existence. Un brano come Undiscovered Country, ad esempio, è la quintessenza di uno stile sul quale la coppia di amici Covertino-Burns ci ha costruito una carriera (e anche parecchio fortunata), ma Howe Gelb sa renderla alla sua maniera, scompaginando le aspettative con il suo inconfondibile piglio naif, lo stesso che lo fa muovere dal trotterellare twang di Thing Like That (Johnny Cash periodo Sun al galoppo sul confine messicano?) e We Don't Play Tonight verso i ricami jazzy della pianistica Not the End of the World, passando magari per la bislacca, soffusa litania di Recovery Mission, con tanto di voce fanciullesca.

Si è già detto delle numerose partecipazioni, che in Tucson non sono affatto concepite come semplici comparse o innocui contorni, semmai quali attori non protagonosti funzionali alla storia nel suo complesso: l'idea è esattamente quella di un'opera che deve essere corale, stratificata, a costo quindi di allungarsi e diventare un po' pretenziosa. Nel mezzo però, scartata una sofisticata Ready or Not degna delle ore tarde in un bar di Tucson (alla voce Lonna Kelley ), ci sono i languori di Brian Lopez in Love Comes Over You e il drammatico incedere western di The Sun Belongs to You interpretato da Sullivan, da qualche parte fra Morricone, i Calexico (che tornano a incrociare le strade del loro maestro di vita Gelb con la pantomima spanish di Carinito), prima dei titoli di coda, i quali sarebbero scorsi magnificamente sulle note di una liquida Out of the Blue, a più voci. Howe Gelb, invece, si sa ama spiazzare (e in parte demolire) la sua stessa arte, per cui infila il minuto di sghembo folk a bassa fedeltà di New River, evitando le regole precostituite. Anche così non riesce a "rovinare" la bellezza adamantina di un disco come Tucson.



    


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