File Under:
Americana, soft rock di
Fabio Cerbone (18/10/2013)
Hai voglia a dichiarare che si tratta "del gruppo di canzoni più personali che
abbiamo mai realizzato" quando ti trovi faccia a faccia con un pugno di brani
per lo più svogliati, ballate che alternano carezze Americana, melodie West coast
e abbellimenti tra morbida psichedelia e feeling country senza mai distinguersi
per un guizzo, un'intuizione. Si naviga a vista e su un soffice tappeto di bella
calligrafia nel nuovo lavoro dei texani (in parte d'adozione, perchè ormai sparsi
ai quattro angoli dell'America) The Band of Heathens. Sunday Morning
Record ha una sua ragione d'essere fin dal titolo, quanto meno onesto
nel sintetizzare una musica oggi spogliata di tutte o quasi le vibrazioni roots
e sudiste che coloravano le opere precedenti, più adatta ad un docile risveglio:
un passaggio niente affatto indolore che rende la loro musica assai più pallida
e insapore.
Alla luce di questo cambiamento è chiaro ora che la doppia
pubblicazione nel 2011 di Double
Down: Live in Denver suona quasi come
un epitaffio sulla prima parte della carriera, un tirare le somme che salutava
la crescita in pubblico della band, in pochi anni transitata dai palchi locali
di Austin e diventata uno dei nomi di punta della vivace scena Americana, con
partecipazioni importanti al programma Austin City Limits sulla PBS ed esibizioni
al Rockpalast in Germania. Colin Brooks, uno dei membri fondatori e anima southern
blues del gruppo ha infatti tolto il disturbo, portandosi appresso i virtuosismi
e l'attitude jam, lasciando ad Ed Jurdi e Gordy Quist il compito
di riorganizzare il songwriting nelle loro esclusive mani. Non solo, anche l'esperto
batterista John Chipman (The Resentments) e il basso di Seth Whitney hanno fatto
i bagagli, di fatto spingendo i due superstiti a reinventarsi The Band of Heathens
sotto un'altra luce. Con i nuovi arrivati Richard Millsap e Trevor Nealon (pianista
già da tempo in servizio dal vivo), Sunday Morning Record prende la dolce piega
di Shotgun, melodia californiana e dal tocco
seventies, scollinando tra le tenerezze soul di Caroline
Williams e un approccio pop che cita sir Paul McCartney in Since
I've Been Home e The Same Picture.
Presenze
che affioravano anche in passato e sulle quali non ci sarebbe nulla da recriminare
(in termini di stile e suono), se però fossero sostenute da canzoni e idee solide.
I segnali invece sono un po' troppo monotoni, lasciando alle sole Miss My life
e Shake the Foundation una punta di funky
e southern rock alla Little Feat, quella che un tempo pareva essere una delle
loro principali fonti di ispirazione. Girl with Indigo
Eyes e One More Trip si aprono una via a certo country rock
di ampio respiro, quello che potremmo ascoltare da Chris Robinson con la sua "Fratellanza"
o dagli stessi Black Crowes in versione bucolica: belle suggestioni, che lasciano
tuttavia la sensazione di molta maniera e poca sostanza. Al tramonto Sunday Morning
Record offre una levigata, sognante Had It All e
si adagia sulla lunga coda westcoastiana di Texas,
frutti maturi di una band che ha cambiato parzialmente faccia e che purtroppo
sembra avere perso definitivamente una bella fetta del suo spessore.