Over the Rhine
Meet Me at The Edge of The World
[Great Speckled
2013]

www.overtherhine.com


File Under: Ohio folk serenade

di Fabio Cerbone (03/09/2013)

A dieci anni esatti dalla pubblicazione di Ohio, uno dei passaggi chiave della loro ormai ventennale carriera, gli Over the Rhine ritentano l'esperimento ambizioso del doppio album, fallendo in parte gli obiettivi per troppa generostà. Forse spinti anche dalla feconda collaborazione artistica con il produttore Joe Henry (che qui si ripete seguendo il fortunato canovaccio di The Long Surrender) e dalla entusiastica risposta dei supporter, hanno fatto le cose in grande, consacrando un intero ciclo di brani alla propria terra di origine, l'Ohio appunto, prendendo spunto dalla vita di coppia immersa nella natura della loro antica fattoria, una struttura risalente al 1833. Sostenuto infine da un'intensa campagna di raccolta fondi, come d'altronde avvenuto per il predecessore, Meet Me at the Edge of the World allarga a dismisura le prospettive acustiche, dal taglio rurale e folky, che avevano già caratterizzato quel lavoro, per espandere lungo diciannove canzoni e due differenti sessioni di registrazione (tra marzo e aprile del 2013 a South Pasadena, negli studi Henry), quello stile che la coppia Linford Detweiler e Karin Bergquist sembra avere cesellato minuziosamente strada facendo.

Chi aveva storto la bocca di fronte alla mansueta trasformazione in chiave Americana (per sintesi, anche se la definizione resta molto stretta...) dell'elegante scrittura del duo, riceverà forse dal nuovo capitolo una delusione maggiore, nonostante il canto della Bergquist non rinunci alle sue carezze jazzy e alle sensibilità pop del portamento. Chi invece, come noi stessi avevamo sottolineato con partecipazione, aveva colto in The Long Surrender un'opportunità per la band di accrescere il raffinato potenziale delle sue radici più tradizionali, si ritroverà altresì spiazzato da questo abbondante raccolto. Gli Over the Rhine hanno insomma esagerato con le buone maniere (l'affettata cover di It Makes no Difference della Band è assolutamente indicativa) e soprattutto hanno scartato del tutto l'opportunità di compiere una doverosa sintesi: una ventina di episodi sono troppi per non cadere in clichè e riempitivi, stiracchiando una forma di ballata country folk vellutata (dalla title track a Called Home si è subito proiettati in un preciso immaginario musicale), docile e manieristica, che tuttavia finisce per nascondere i momenti più ispirati (Sacred Ground; Don't Let The Bastards get You Down, in duetto con Aimee Mann, Highland County) in una sequenza che fa spesso il verso a sé stessa.

Qui non è certamente in gioco la qualità strumentale di un disco arrangiato divinamente, condotto a vele spiegate da musicisti di prima scelta come Jay Bellerose e Patrick Warren, collaboratori di lunga data di Joe Henry, Eric Heywood, Jennifer Condos o Van Dyke Parks, semmai ci si chiede perché la scorza gospel blues che batte il tempo in Gonna Let My Soul Catch My Body o il limaccioso country blues sudista di Baby If This Is Nowhere non abbiano avuto il piacere di una maggiore compagnia. Meet Me at the Edge of the World ne avrebbe guadagnato in profondità di linguaggio, invece di inseguire duetti struggenti ma un po' artificiosi (All Over Ohio, Earthbound Love Song con il dolce richiamo a Johnny e June...) e una lunga sequela di bozzetti per chitarre, piano e steel che finiscono per accavallarsi l'uno con l'altro. Classe da vendere, come sempre, ma anche un'opportunità in parte sprecata.



     


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