Seasick Steve
Hubcap Music
[Polydor/ Universal  
2013]

www.seasicksteve.com


File Under: rock blues, hard boogie

di Fabio Cerbone (14/05/2013)

Se per caso vi foste persi le puntate precedenti - peccato, per una delle storie indubbiamente più curiose che abbia saputo regalare l'asfittico mondo del rock'n'roll di questi anni - la figura del settantenne Seasick Steve, all'anagrafe Steve Wold, è riuscita a capitalizzare su di sé, persino oltre i suoi effettivi meriti, le attenzioni riservate soltanto ad una leggenda dimenticata. Nell'aria c'era quel tipico gusto per la scoperta tardiva, ma anche un briciolo di senso di colpa che solitamente si tiene in serbo per chi non ha mai raccolto quanto meritato, magati a causa di una vita tribolata. Una vicenda molto simile, naturalmente anche per affinità musicali, a quella di diversi blueman neri ritrovati in età avanzata e ai quali è stato concesso un giro di gloria prima della scomparsa.

Seasick Steve è ancora tra noi per fortuna e la sua discografia cresce a dismisura recuperando il tempo perduto: dopo un'intera esistenza spesa nei panni dell'hobo, girando mezzo mondo e finendo in Norvegia (lì dove lo hanno ripescato dall'oblio), si è ripreso tutto con gli interessi a partire dalla metà dello scorso decennio, trovando un pubblico sensibile soprattutto in Inghilterra (I Started Out with Nothin and I Still Got Most of It Left l'album rivelazione nel 2008). Nemo propheta in patria dunque, per uno nato in California e con il battito rude del down home blues nelle vene. Hubcap Music, dal nome di una delle tante chitarre artigianali che Seasick Steve si costruisce (questa volta c'è di mezzo un cerchione, hubcap per l'appunto), avanza nel solco tracciato in queste stagioni, nulla aggiungendo ai già apprezabili Man from Another Time e You Can't Teach an Old Dog New Tricks (l'ultimo in ordine di tempo, datato 2011), semmai sancendo la definitiva consacrazione a livello mainstream, grazie alla firma per una grande etichetta e ad una visibilità ancora maggiore. A benedire questo passaggio infine le presenza come ospiti di Jack White e Luther Dickinson (Heavy Weight potrebbe stare nel repertorio dei North Mississippi Allstars), oltre alla vecchia conoscenza John Paul Jones (che lo ha sempre sostenuto) e al fedele batterista Dan Magnusson.

La sostanza però è fatta ancora di un boogie arcigno, dove robuste inezioni rock e paludosi riff mutuati dalla tradizione del delta blues si alternano rimandando all'inifinito la lezione di Robert Lee Burnside e John Lee Hooker, a seconda delle sponde su cui attraccare la vecchia zattera di Seasisk Steve. Il motore del suo vecchio trattore (altra passione di Steve) si accende con fragore e Down on the Farm ci porta a spasso per la tenuta di Hubcap Music: tra un George Thorogood invecchiato in botte e qualche spacconata degna persino degli ZZ Top, Self-Sufficient Man, The Way I Do, Freedom Road si arrabattano con pochi mezzi e molta forza bruta. La formula funziona senz'altro, nonostante suoni in questa occasione più stiracchiata del solito: l'alternanza con ambientazioni più rurali in Over You e Purple Shadow (dalle malinconiche inflessioni country, con tanto di pedal steel) spezza un poco la monotonia, ma è fuor di dubbio che la ricetta di Seasick Steve stia cominciando a prosciugarsi.


    


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