:: Angelo Leadbelly Rossi
Polvere in gola bagnata di whiskey

Il condimento sano del whiskey è la polvere della strada. La voce si secca e l'ugola diventa gonfia come le botte della sera prima. Giù da un treno in corsa, nella notte senza riparo di una città senza nome. E' quel che ci basta, per accostare il blues di Angelo "Leadbelly" Rossi a un'immagine violenta da blues prebellico, a farne un ritratto che la sua musica spedisce dritto dritto all'inferno, ai tempi duri ovunque e all'universo in bianco e nero della terra dove tutto è cominciato, "the land where the blues began". Forse non è cambiato molto. Forse, a dirla com'è, dai tempi di Alan Lomax e del suo autista di colore Huddie Leadbetter, meglio conosciuto come "Leadbelly", non siamo poi così lontani. Perlomeno, da quando ascoltiamo del blues così. Il tempo si ferma e distilla emozioni, che è poi la funzione espressiva principale dell'arte. E cosa voglia dire ritrovarsi tra le mani un disco di provenienza misteriosa e farsene una ragione di vita (o quasi) è la testimonianza che abbiamo qua sotto, di una vocazione a prenderci il meglio che la vita ci offre, prima che il vento se lo porti via. Nient'altro che blues, e I Don't Want To Take Nothing With Me When I'm Gone ne esprime al meglio la poetica, in maniera autografa, col linguaggio di un'acerba elettrificazione del suono del Delta, e degli anziani artisti che ne hanno portato la musica nel nuovo millennio. Gioie e dolori, trasformati in riso, in pianto. E il sentimento nelle canzoni.
(a cura di Matteo Fratti)

"Il blues è spudoratamente sincero,
tragico come veleno nelle vene,
ferite che non guariscono mai,
non tollera il falso, inquieto.
Ti basta?"
Angelo Rossi


L'intervista

Ho tra le mani il tuo ultimo disco. La foto di copertina è tremendamente evocativa, come tutto il resto del lavoro, e il titolo sembra quasi una didascalia… Titolo e foto: ne vorresti parlare?

Per quanto riguarda il titolo è una semplice riflessione sul fatto certo che tutto quello che possediamo, vedi beni materiali e non, il giorno della chiamata, non lo porteremo con noi, quindi prendiamoci il meglio che la vita ci offre e accontentiamoci. A proposito della fotografia sulla copertina del cd, è frutto di una jam fotografica di Paola, la mia compagna, in una giornata assolata in Texas, quale posto migliore se non in una città deserta per starsene tranquillamente soli, dove l'unico rumore sono i tappi di bottiglia di birra per dissetare la nostra anima assetata.

So che sei stato spesso in Mississippi, e non dico una banalità se penso che ciò "si senta" nel tuo blues: cos'hai riportato a casa da questi, credo, blues-travels?

Questi pellegrinaggi mi hanno convinto di una cosa, che dopo 100 anni poco è cambiato, c'è chi comanda e gestisce il potere e chi deve obbedire, ti lascio indovinare il colore della pelle dell'uno e dell'altro. Dal punto di vista strettamente musicale, si respira ancora in alcune zone, quell'aria blues che fu gloriosa in tempi passati, io ne sono rimasto prigioniero e oggi è parte essenziale nel mio modo di suonare.

In I Don't Want… c'è una resa sonora non comune alla consueta produzione blues in Italia, qualcosa che si riscontra raramente nelle registrazioni nostrane: è stato un lavoro lungo o il frutto di un approccio semplicemente spontaneo, del tipo "buona la prima"?

Ti ringrazio per questa domanda. L'ottima resa sonora è frutto di un lavoro fatto in sintonia con i ragazzi dello studio "la Sauna", ragazzi giovani, ma con grande esperienza e notevole gusto musicale, una registrazione con strumentazione vintage, la gestazione di tutto il progetto è durata circa un anno, anche se buona parte del materiale registrato è frutto di improvvisazioni del momento, quindi direi che il "buona la prima" è reale.

Tutti i blues in quest'album sono tuoi, tranne un traditional che è Cherry Ball Blues. La resa stilistica, con evidenti inflessioni roots invece, sta a metà tra il suono Fat Possum e la prima elettrificazione della matrice blues del Delta. A chi ti ispiri, e come mai proprio quel traditional?

Non c'è una vera e propria fonte di ispirazione, ma è il frutto della conoscenza accumulata in più di trent'anni di musica, sfociata alla fine in un percorso lungo le "highways" della musica afroamericana. "Cherry Ball Blues" è finita nel disco semplicemente perché un microfono panoramico, scordato acceso, ha catturato una mia divagazione.

Chi fa blues in Italia, e in generale da un punto di vista mainstream, coglie un lato del blues tendenzialmente divertente, funny, il più delle volte, e piuttosto standard da un punto di vista espressivo. Trovo invece che Lost In Mississippi o Broken Wheel per esempio, hanno un incedere che potrebbe dirsi inquietante e esprimono un lato blues più ancestrale, così come ipnotiche risultano I Got To Pay My Bill o Brother Wim Blues. Cosa ne pensi?

Il blues è spudoratamente sincero, tragico come veleno nelle vene, ferite che non guariscono mai, non tollera il falso, inquieto. Ti basta?

Brother Wim Blues è uno strumentale, azzarderei "scuro come la notte e freddo come la pianura". E' un caso, o c'è davvero qualche legame con la vecchia Dark Was The Night, Cold Was The Ground di Blind Willie Johnson?

Chiamatemi re del plagio!

Non so se sia un coincidenza o meno, ma da quando sono usciti i film per la serie il blues di Scorsese, anche in Italia sembra che i festival blues d'estate crescano come funghi. Riscontra una maggior visibilità anche un artista indipendente come te? E' cambiato qualcosa per chi suona blues di questi tempi?

La produzione cinematografica di Scorsese è stata una grande opera di divulgazione della musica afroamericana, ma temo che il blues in Italia sia conosciuto soprattutto per i due comici detti "Blues Brothers". I festival blues in Italia sono frutto di passione e sforzi disumani, per tutti coloro che li organizzano, e a loro va tutta la mia stima e riconoscimento, dal mio punto di vista non saprei darti un giudizio obiettivo, questa è una domanda che dovresti fare a chi vive di questo, io per fortuna (o sfortuna) vivo di altro, suono per passione, quando e se ne ho voglia, mi ritengo fortunato di poter scegliere.

No More War è la tua canzone di protesta. Vuoi dire qualcosa dell'America di oggi?

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere! Una cosa però la voglio dire: abbiamo visitato diversi cimiteri, e abbiamo constatato che gli stati del Sud sono quelli che hanno dato e danno il contributo maggiore di vite umane.

Ho ascoltato I Don't Want… in macchina tutto l'inverno e non esito a definirlo uno dei migliori dischi della scorsa stagione. Hai in mente qualche altro progetto in studio?

Questo disco è nato perché c'era qualcosa che da tempo era latente nei miei pensieri, scrivere di blues non è per me così semplice, ho bisogno di emozioni vere, così come ti dicevo qualche risposta fa. Qualcosa si sta muovendo, ma ora ci sono altre priorità.

Con chi vorresti invece essere sul palco a uno dei prossimi concerti?

I personaggi con cui vorrei essere sul palco non ci sono più, anche se con qualcuno di loro ho avuto la fortuna di condividere qualche suonata e barbecue in famiglia: Frank Frost, R..L. Burnside, Honeyboy Edwards che grazie al cielo è ancora con noi.

Una curiosità, se vuoi, riguarda la storia del tuo soprannome. Perché Leadbelly?

È il primo disco di blues che mi ritrovai tra le mani nel lontano 1975, di provenienza misteriosa. Leadbelly era un grande musicista ed un simpaticone e io lo sono altrettanto.

Ne sono sicuro. Ci vediamo comunque a uno dei tuoi live, intanto grazie mille da parte mia e degli amici di rootshighway…

Grazie a te Matteo e a tutta la redazione per lo spazio che mi dedicate.

 


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