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rock-blues & funky di
Paolo Baiotti (08/12/2016)
Theodore Horowitz, meglio conosciuto come Popa Chubby, newyorkese del Bronx,
ha alle spalle una lunga carriera solista avviata negli anni novanta in ambito
rock blues, dopo avere frequentato l'ambiente punk al seguito di Richard Hell.
Quando uscì Booty And The Beast, primo disco per la Sony/Okeh del '95 prodotto
da Tom Dowd, sembrava che Chubby potesse diventare uno dei chitarristi più importanti
della scena contemporanea… speranza che non si è realizzata se non parzialmente,
in quanto nel prosieguo del suo cammino l'artista ha alternato momenti interessanti
ad altri pacchiani, superflui o poco comprensibili. Mischiando rock, blues, funky,
reggae, schegge di punk e di hip-hop e qualche scampolo pop, a volte nello stesso
disco, è riuscito a ritagliarsi uno spazio di manovra soprattutto in paesi europei
come Francia e Germania, senza lasciare ricordi memorabili neppure nei dischi
in coppia con la (ex) moglie Galea.
Popa descrive il suo modo di suonare
come l'incontro tra gli Stooges e Buddy Guy, i Motorhead e Muddy Waters, Jimi
Hendrix e Robert Johnson... paragoni ingombranti che trovano un pallido riscontro
nella sua musica. Se il recente doppio live Big,
Bad And Beautiful aveva mostrato il volto migliore del chitarrista,
questo The Catfish non mi sembra dello stesso livello. Chubby dimostra
duttilità e attenzione nei confronti di vari stili musicali, ma questa versatilità
si può anche interpretare come mancanza di direzione e tentativo di soddisfare
almeno un pochino ogni tipo di pubblico. E poi manca una qualità uniforme di scrittura,
per cui alla fine il disco risulta un pastrocchio. L'apertura ondeggia tra i ritmi
funky di Going Downtown e Good Thing senza
grande fantasia e con qualche squarcio interessante di chitarra nel secondo brano.
Poi si passa a una versione reggata strumentale di Bye
Bye Love di Boudleaux e Felice Bryant (hit degli Everly Brothers nel
'57, ripreso tra gli altri da Simon & Garfunkel e George Harrison) di modesto
spessore, seguita dal robusto rock blues di Cry Till It's A Dull Ache.
A questo punto vengono inseriti tre omaggi: lo strumentale jazzato Wes
Is More, dedicato a Wes Montgomery che si sviluppa con una certa classe
lasciando spazi solisti a basso, piano e chitarra, Motorhead Saved My Life,
hard rock deboluccio che vorrebbe omaggiare Lemmy Kilmister e l'eccellente Blues
For Charlie, slow blues strumentale dedicato alle vittime dell'attentato
alla rivista Charlie Hebdo (Popa considera la Francia una seconda patria). Troppa
carne al fuoco senza un'idea definita! E si prosegue con Dirty Diesel che
sembra uscita dalla penna di Stevie Ray Vaughan, Slow Down Sugar che mischia
reggae, jazz e rap con l'intervento della tromba della figlia Tipitina Horowitz,
Put A Grown Man To Shame in equilibrio tra reggae e sapori sudisti e la title
track che ribadisce la preferenza per la ritmica funky senza lasciare traccia.
Chiusura acustica con un'apprezzabile C'mon In My Kitchen
(Robert Johnson) nella quale si intrecciano piano, chitarra e dobro.