The Feelies
Remastered & restored

Dopo il recupero lo scorso anno dell'interessante e troppo spesso ignorato Only Life, la discografia dei newyorkesi Feelies viene finalmente completata dalle ristampe dei primi due seminali lavori, Crazy Rhythms e The Good Earth, dei quali il primo rappresenta indiscutibilmente un esordio di culto nell'epopea del suono post punk americano. Nervosamente ritmici, divisi fra avanguardia pop, minimalismo sonoro, melodie stralunate e frenesie elettriche, diventeranno presto un punto di riferimento imprescindibile del giovane rock americano, aprendo la strada all'universo "alternative" di quel decennio. L'insuccesso commerciale e l'oscurità ereditata dai loro beniamini Velvet Underground minerà le fondamenta del gruppo, riformatosi in seguito con una nuova sezione ritmica, dando alle stampe il più folkeggiante The Good Earth, disco prodotto da un loro "allievo" ed estimatore della prima ora, Peter Buck dei REM. Ma questa è un'altra storia da raccontare, signori: Crazy Rhythms
(Fabio Cerbone)
 

Feelies
Crazy Rhythms
[Bar/None/ Domino
 2009
]


Ristampa, con cinque bonus ricavabili in download - tra cui la versione single di Fa Cé-La ('79) e quelle live di I Wanna Sleep In Your Arms e Crazy Rhythms ('09) - del sorprendente esordio (era il 1980) di una band di quattro giovanotti del New Jersey, dall'apparente aria da "secchioni" (così la foto di copertina), che rivela una maturità sorprendente: essenzialità strumentale, fatta di ritmi anche forsennati (appunto), ma tenuti "sotto controllo", evitando di andare in confusione per overdose. Grande merito a tutti - Bill Million e Glenn Mercer, autori dei vari brani meno uno, ambedue chitarristi (di variegata scelta e funzionalità), nonché percussionisti (con gingilli di vario genere) e vocalist, Keith DeNunzio, basso, percussioni e voce - ma soprattutto al batterista Anton Fier che dà una "quadratura" precisa, mai scontata dell'impianto ritmico (pure lui è anche percussionista…). Jonathan Demme li vorrà - mascherati da Willies - nel film Something Wild ("Qualcosa di travolgente").

Una struttura sonora che riporta in diversi modi a band più famose (Violent Femmes, R.E.M., Talking Heads), con qualcosa dei primi Velvet Underground, ma anche di taglio diddleyano, attirando subito l'attenzione con The Boy With The Perpetual Nervousness, "nervosa" (certo) e "ripetitiva" quanto basta per creare un clima quasi ipnotico, che diviene più giocoso e verbalmente "nonsense" con Fa Cé-La, dall'andamento che evoca lo sferragliare di un treno tra scambi e traversine. Loveless Love è in forte accelerazione chitarristico-ritmica (dato il titolo, vi aspettavate una ballad?), un po' in salsa Dire Straits, con qualche sfumatura jazzistica. La lunga Forces At Work Note ha un attacco quasi inaudibile, quasi un rumore di fondo, poi man mano acquista consistenza (ah, la batteria!), e il canto corale, per continuare a macinare passaggi ritmici (splendide chitarre e gran lavoro di DeNunzio): quasi un preludio al gioiello finale che dà il titolo all'album.

Un po' meno di lucidità nel successivo Original Love, mentre Everybody's Got Something To Hide (Except Me And My Monkey) interrompe la serie dei brani firmati da loro, rivolgendosi a Lennon & McCartney: ne deriva un bel r&r, dalla frenesia vocale e percussiva (senza Fier). Poi arrivano i divertenti quanto essenziali intrecci con cui sono disegnate le Moscow Nights, che hanno anche una bella chiusura chitarristica, mentre la corposa Raised Eyebrows ha vaghe tinte funky che precedono l'irresistibile, frenetico gioiello dell'album: Crazy Rhythms è una vera festa per orecchie, cuore e muscoli, apparentemente monolitica, in realtà densa di sfumature e incroci strumentali, con qualche inserimento corale. Un gioiello, per cui premere il tastino "repeat".
(Gianni Del Savio)

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