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The
Jayhawks
Drakoulias
e i Jayhawks lo trovarono, quel suono, impastato della malinconia delle nevi in
procinto di sciogliersi per la primavera e infradiciato dalla tensioni emotive
del gospel: Hollywood Town Hall custodiva passato e presente nelle
stesse immagini, dipingendo un viaggio tra folk-rock e sciabolate d'organo (Waiting
For The Sun, uno dei singoli più memorabili dei '90 tutti), tra esplosioni
elettriche (Wichita) e abbandoni rootsy (Two
Angels), tra scossoni blue-collar (l'omaggio a Bruce Springsteen della
travolgente Martin's Song) e serpentine younghiane
(Crowded In The Wings), che di rado il rock
americano aveva - ha e avrà - saputo proporre così maturo, toccante, definitivo.
I Jayhawks dei primi due album, quei The
Jayhawks e Blue Earth ('89) che li avevano visti proporsi come
credibili (e peraltro bravissimi) raccoglitori del testimone lasciato in sospeso
da Gram Pasons e dai Flying Burrito Brothers, si trasfigurano nelle fiamme della
Gibson di Louris (sentitela urlare nelle evoluzioni di Take
Me With You (When You Go) e Nevada, California)
e nell'acume diaristico della scrittura di Olson, che raggruppa i fantasmi delle
province del Midwest in canzoni tanto immediate quanto ricche di particolari,
secondo la lezione dello Sherwood Anderson di Winesburg, Ohio (1919). (Tra parentesi,
un libro assai più influente e cruciale del corrispettivo poetico, ovvero la coeva
Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters: oggi il capolavoro di Anderson
è tornato in libreria, per i tipi di Einaudi, con una nuova traduzione di Giuseppe
Trevisani e una bella prefazione di Vinicio Capossela, se non l'avete ma frequentato
fatelo ora.) Le cinque canzoni inedite della "Expanded edition" di Hollywood
Town Hall altro non fanno se non confermare la grazia olimpica dell'equilibrio
tra Olson e Louris: dal rock'n'soul della focosa Leave
No Gold all'honky-tonk da manuale di Keith
And Quentin, dal gospel trascinante del traditional Up
Above My Head al folk-rock agrodolce della sublime Warm
River, passando per il countreggiare lo-fi di Mother
Trust You To Walk To The Store (un titolo un romanzo!), anche il bricolage
delle prove in studio appare semplicemente immacolato. Il
disco fu un successo, seppur di nicchia, e spianò la strada alle grandi attese
intorno al successivo Tomorrow The Green Grass, che andò a sua volta
abbastanza bene ma non ebbe riscontri sufficienti a giustificare gli investimenti
impegnati per confezionarlo. Meno quadrato e compatto del predecessore, eppure,
in un suo modo particolarissimo, più struggente, rattristato e incupito, l'album
rivelò il lato più pop della band. Un pop naturalmente particolare, sempre americano
e decisamente rockista, infarcito di archi e seduzioni ipnagogiche (da una parte
Neil Young, dall'altra John Lennon, dall'altra ancora i Ride di Carnival Of Light,
da Drakoulias supervisionati un anno prima). Sembrò dispersivo, Tomorrow The Green
Grass, e invece, ancora una volta, gettava semi che avrebbero fatto fiorire il
cielo di moltissima musica indie degli States a venire: il power-pop di Bad
Time (dai Grand Funk Railroad, e si trattava, per l'epoca, di una parolaccia)
strizzava l'occhio ai futuri Golden Smog, il country-pop della stupenda Ann
Jane si mangia a colazione tutti gli Iron & Wine o Doug Paisley (entrambi
eccelsi, per carità) arrivati secoli dopo, il rock'n'roll di Real
Light fa schizzare dalla sedia qualsiasi tentativo di duplicare la
sordida furia bluesata dei primi Stones, il Wurlitzer della nuova arrivata Karen
Grotberg su Red's Song riempiva di soul i
contorni di una musica americana mai così densa e porosa (fino all'apoteosi di
una Ten Little Kids che evocava Shel Silverstein,
Bobby Bare e tutto il citabile in materia di cantilene elettriche a cavallo tra
rock e country). Stavolta, nella ristampa, si raddoppia addirittura, e vicino
a cinque inediti in altalena tra il grande pezzo mancato (la ruvida title-track,
inspiegabilmente esclusa dalla scaletta originaria) e ruspanti divertissement
(lo sgangherato cabaret waitsiano della già nota Last
Cigarette e della caracollante Sleep While
You Can), spunta persino un intero disco di inediti, diciotto schegge
elettroacustiche che prendono il nome di "The Mystery Demos" e, di nuovo,
hanno pochissimo da invidiare alle loro gemelle compiute: almeno due meraviglie
assolute (la corrusca Won't Be Coming Home
e la raccolta Ranch House In Phoenix) e parecchi
spunti di interesse in una cornucopia di rock spartano cui l'Olson solista avrebbe
sovente fatto ritorno. www.jayhawksofficial.com
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