Lo seguiamo da tempo il bresciano Andrea Van
Cleef, fin dai tempi dei Van Cleef Continental o di album come il
westcoastiano Sundog (2012), il più essenziale
Tropic of Nowhere dove riaffioravano le sue origini di stoner-rocker,
o la collaborazione, uscita in pieno lockdown, con Diego Deadman Potron
(Safari Station, prodotto da Don Antonio),
per citare quelli più significativi. Ed è quindi "senza sorpresa"
che lo ritroviamo autore di un prodotto decisamente maturo e di livello
come Horse Latitudes, disco che unisce le due anime dei
luoghi in cui è nato, visto che è stato registrato parzialmente in USA
negli Smilin' Castle Productions di Rick Del Castillo (spesso collaboratore
per le colonne sonore di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez), dove
sempre più spesso anche gli autori nostrani trovano modo di respirare
l’aria giusta per un più fedele sound americano (anche Cisco Bellotti
ci ha registrato il suo Indiani e Cowboy, per esempio).
Il grosso del lavoro è stato comunque realizzato a Montichiari, dove
Van Cleef ha riunito una serie di collaboratori fidati per un album
che ancora più che in passato sottolinea l’amore per un certo gothic-country
o dark-folk, che rievoca ovviamente Mark Lanegan (la voce di Van Cleef
lo cerca spesso), Woven Hand o Handsome Family, ma anche il mondo musicale
che ruota in torno a Nick Cave (in particolare ci trovo affinità con
il lavoro di Hugo Race in questo album). Esauriti i crediti e i riferimenti
però, resta un disco di ottimi brani autografi che colgono in pieno
il sentimento dei nostri tempi, come The Longest Song, Come
Home o Fire In My Bones. Buon peso hanno anche le collaborazioni,
come le voci degli The Black Jack Conspiracy nella iniziale Horse
Named Cain (anche singolo dell’album, con video girato sul
Tonale), l’intervento della cantautrice Ottavia Brown (anche lei bresciana,
nota come illustratrice) in Love Is Lonely e, soprattutto quella
del mitico sassofonista dei Morphine, Dana Colley, nell’intenso finale
di The Real Stranger.
Si segnalano particolarmente Slaughter Creek
per il fine arrangiamento e il quasi brit-folk di The Disappearing
Child, e soprattutto una convincente cover di
Ooh La La, brano dei Faces (lo cantava Ron Wood nell’originale,
anche se Rod Stewart poi ne farà una versione propria), che pare discostarsi
un poco dalla sensibilità dark del disco, ma costituisce forse un necessario
elemento di rottura di un album molto omogeneo e senza sbavature. Horse
Latitudes conferma infatti quanto la scena “roots” italiana abbia
particolarmente a cuore i toni del lato più oscuro della scena americana,
suono che Andrea Van Cleef governa al meglio ormai non da pochi anni.