inserito 22/10/2011

Marcello Milanese - Like a Wolf in a Chicken Shack  [Helleluja Records  2011]  
Andrea Sacchi & Paolo Terlingo -
Magdalen  [Ultra Sound  2011]

No overbuds, no pedal effects, no electronic tricks: è da ritenersi il manifesto programmatico, definiamolo così, di Like a Wolf in a Chicken Shack, disco interamente dedicato all'anima acustica del blues, pur uscendo volentieri dai sentieri canonici dei maestri del genere per "piegare" diversi autori alla voce e alla chitarra di Marcello Milanese. Già conosciuto su queste pagine per il progetto Black Smokers, duo di urticante downhome punk blues elettrico, il musicista allessandrino torna all'essenza delle radici, scarnificando del tutto la sua musica. Armato di sola chitarra (anche resonator, sulle tracce del più classico del Delta blues) e stomp box, si inventa la sua personale orchestra in una seduta dal vivo dove niente è ripulito e tutto invece congiura per la sporcizia del suono e la sincerità dell'esecuzione. Giusto così, va amesso, soprattutto se si affronta la materia dall'angolazione un po' spigolosa e sulfurea di Milanese: voce interessante, rauca e vagamente "waitsiana", bene si adatta a questo atteggiamento del "fatto in casa" e con pochi mezzi. Gli esiti pagano chiaramente l'impostazione voluta dal chitarrista, trovando nei brani originali un giusto compromesso, mentre non sempre riuscendo a domare il repetorio altrui. Nel primo caso si parte convinti nell'avvolgente clima sudista della title track, proseguendo con la ritmica e nervosa Medicine Man e abbandonandosi all'animosità di Hang me Higher, compreso il canto. Nel secondo invece si registrano episodi più naturali per il pathos vocale di Milanese, come la scura Ain't Afraid of Midnight del compianto, indimenticabile John Campbell o la riproposizione di Jesus Gonna Be Here di Tom Waits, e altri non completamente messi a fuoco tra cui Cry To Me e That's Alright Mama, in generale difficili da domare nell'abito scarno del disco (ad esempio il classico di Johnny Cash Ring of Fire o Halleluja I Love Her So di Ray Charles). Più apprezzabile il trattamento strumentale riservato al noto inno gospel Amazing Grace, che idealmente si riallaccia alle atmosfere finali di Slides From Mars.
(  6.5)
(Fabio Cerbone)

www.reverbnation.com/marcellomilanese


In pausa dal progetto elettrico The Rude Mood - arricchito da un recente disco dal vivo catturato nel corso di un tour irlandese - la coppia Andrea Sacchi (armoniche) e Paolo Terlingo (chitarre) torna a sviluppare la parallela visione acustica, che già aveva dato i suoi frutti in Seven Days (Blues Inclusive). Il nuovo episodio si intitola Magadalen e lungo un percorso di tredici tracce alterna ballate che incrociano al largo la radice blues dei musicisti e strumentali di raccordo che possiedono un fascino quasi mediterraneo nella loro struttura. Non è esattamente un lavoro legato al genere di riferimento di Sacchi e Terlingo e ciò fa onore alla loro volontà di scompaginare un po' le aspettative: con una voce interessante, anche se bisognosa ancora di una qualche modulazione, Paolo Terlingo scrive musiche e testi cercando una forma elegante di ballata folk, con sfumature jazzy e notturne, introducendo il mood generale di Magdalen fin dalle prime battute di Narrow Strips of Sunlight e Enjambement. Tra le pieghe, come anticipato, qualche strumentale sembra legare l'intera scaletta, esaltando in Etude Un e Etude Trois o nella stessa title track le qualità strumentali del duo. Andrea Sacchi dipinge trame raffinate con diatonica e cromatica, utilizzando l'armonica non tanto come un semplice strumento solista, piuttosto come un vero e proprio elemento aggiunto ai colori delle canzoni. Ed è proprio qui che in parte cominciano ad emergere i limiti di Magdalen: disco dal sicuro fascino, inciso fra l'altro con un suono ricco e pastoso sulle chitarre, ma che pare inchiodarsi ad una formula eccesivamente monotona. Sulla distanza infatti, eccezione per una slide e un profumo un po' cooderiano in Inside Blues, le ambientazioni musicali delle varie Why, Mind Wonders, The Chalice tendono a ripetersi con schemi interpretativi che rendono i toni autunnali, i chiaroscuri stessi dell'album troppo monocordi. (  6.5)
(Fabio Cerbone)

www.ultrasoundrecords.it



<Credits>