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Ai tanti che ogni giorno si chiedono sui social
a cosa diavolo possa servire oggi scrivere di musica (se lo chiedono
spesso gli stessi che scrivono d’altronde), una delle tante risposte
possibili è quella che anche in questo mercato discografico, che mercato
più non è (lo definirei una unica grande bulimica svendita di beni mordi
e fuggi), l’unica via per poter dire qualcosa di interessante è dare
una visione di un artista nel corso della sua carriera. Prendiamo
J. Sintoni per esempio, uno dei tanti artisti italiani di scuola
blues che ormai seguiamo da anni, e prendiamo il suo nuovo album
Where I Belong. Potremmo facilmente proporvelo scopiazzando
una cartella stampa, e contare sul fatto che il personaggio abbia ormai
un suo pubblico affezionato che ci leggerà, per quanto commisurato al
genere che suona. O magari potremmo commentare canzone per canzone come
si faceva nelle recensioni di un tempo, quando i dischi andavano raccontati
a qualcuno che ancora non li aveva sentiti e doveva decidere, in base
a quello che leggeva, se investirci tempo e denaro (mi pare di parlare
di preistoria ormai). Il nuovo lungo album (ben 15 brani) fa tesoro di tutto, e si presenta come una sorta di confessione personale, adattabile a qualsiasi artista del suo calibro che passa quotidianamente anche su queste pagine, prima fra tutte con l’iniziale Alone With My Songs, presa di consapevolezza di come ciò che si produce oggi vale soprattutto per sé stessi (“Mi son fatto molti amici grazie alle canzoni, poi loro hanno incontrato nuovi amori, e si sono dimenticati le mie canzoni”), o più avanti in Until I Run Out Of Songs (“Vi lascerò alcune buone canzoni, ho fatto del mio meglio, sono nate senza qualità e ci ho lavorato, e andrà avanti, finché non finirò le canzoni”). Insomma, le canzoni servono a vivere, (“Un’altra canzone da cantare, un altro sussurro nel tuo orecchio” canta in Lights), solo questo ha senso. Meglio comunque cantarle, scriverle, e auto-prodursele attorniato dagli amici più noti (Grayson Capps interviene nella ispirata Away From Home, Don Antonio sfoggia la sua sei corde in Until I Run Out Of Songs e Rest and Survive), o dai tanti compagni di viaggio come l’armonicista Marco Pandolfi, Jama, Chris Horses, Thomas Guiducci , Enrico Cipollini, Bati Bertolio, Francesco Biadene e Andrea Taravelli. Partiamo dunque da questo disco per ritrovare il senso di quella strana pazzia di voler fare questa musica oggi in Italia, perché, come canta lui in Rest And Survive, “Tieni da parte un po’ di follia per sopportare il dolore”.
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