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rock noir di
Davide Albini (20/06/2014)
A
volte ritornano: speravo francamente di ritrovare sul nostro cammino questo tagliente
quartetto di Chicago, che certo non entrerà dalla porta principale della storia
del rock americano di questi anni, e che pure aveva lasciato dietro di sé una
codia non indifferente di affascinanti e misteriosi album di rock urbano dalle
tinte country e blues. Parliamo dei Great Crusades, increbilmente longevi
per i canoni della scena indie in cui operano, sempre stabilizzati intorno alle
figure di Brian Leach, chitarre, Brian Hunt, basso, Christian Moder, batteria
e del leader e unico autore Brian Krumm (troppi Brian nella formazione?), voce
rauca, possente e drammatica che a più riprese è stata accostata per le sue suggestioni
alla razza dei lupi mannari quali Tom Waits, Nick Cave e Mark Lanegan. Un po'
di quelle atmosfere dalle tinte noir hanno effettivamente soffiato sulla loro
produzione, portando, come accennato, alla pubblicazione di diversi notevoli lavori,
tra i quali Never Go Home e Welcome
to the Hiatawa Inn rappresentano ancora oggi il loro lascito migliore.
Dopo quella fiammata erano purtroppo rientrati nei ranghi, diciamo pure
nell'anonimato, tra la delusione del roccioso e sfuocato Four
Thirty e di un altro paio di tentativi che non ci erano neppure sembrati
degni di menzione. Thieves of Chicago li rimette in pista, passando
dala Glitterhosue alla Blue Rose, sempre espatriati dunque in terra tedesca, dove
passano regolarmente in tour. Oltre al cambio di etichetta, è la messa fuoco che
mi pare restituisca parziale fiducia alla band, qui divisa con più concentrazione
tra le diverse anime: da una parte le sferzate elettriche di This
City Is A Shambles Tonight e Til The Needle
On The Record Goes To Bed, che sanno di glam rock e il macinare di
riff hard blues in The Right Way To Be Wrong,
che potrebbe spuntare dai Black Keys meno ruffiani (certo non quelli dell'ultimo
disco); dall'altra i toni romantici della ballata notturna e gli orizzonti western
in The Devil And All His Relations (una tromba inequivocabilmente morriconiana)
e Another Song About You, movenze spanish
ed echi degni dei Calexico.
Nell'insieme rappresentano rielaborazioni
di uno stile che il misconosciuto gruppo di Chicago (l'esordio avvenne nel lontano
1997, un bel traguardo e un segnale di cocciuta resistenza) ha sempre mostrato
nei suoi momenti più ispirati: le epiche intonazioni folk rock di Sometimes
On Sundays Too e il lieve pizzicare di Naked Arms
e Old Lovers, Old Friends, languidi scenari per i quali The Great Crusades
furono agli esordi inseriti nel calderone dell'alternative country (in Vandalia
Krumm cita persino la band degli Uncle Tupelo, con un ricordo personale). Per
chi li ha già apprezzati, anche di sfuggita o perdendoli semplicemente di vista,
Thieves of Chicago è la dimostrazione che avevano davvero qualche carta da giocarsi,
nonostante non raggiunga la qualità degli anni migliori. Gli altri magari concedano
una chance anche al loro vecchio catalogo.