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folk rock, pop rock
di Marco Restelli (23/04/2021)
Sulle pagine di Roots Highway
avrete probabilmente già sentito parlare di Vanessa Peters. L’artista
di Dallas, ma per ovvie ragioni lavorative “nomade” e cittadina del mondo,
ben conosce l’Italia avendoci vissuto in passato e tornandoci regolarmente.
Questo suo nuovo lavoro è legato per diverse ragioni al nostro paese,
visto che proprio durante il lockdown, nel pieno del tour Europeo di promozione
dell’ottimo precedente Foxhole
Preyer, lei e la sua band vi sono rimasti in qualche modo “intrappolati”.
I piani per le registrazioni del nuovo Modern Age inizialmente
previste oltreoceano – anche grazie a un crowdfunding rapidissimo che
conferma la sua solida base di fan – sono quindi stati stravolti e certamente
il disco ha finito per risentire (in positivo) delle tensioni che hanno
costretto i musicisti a fare di necessità virtù. Come al solito, i brani
non sono mai banali e ci fanno vedere il mondo con gli occhi dell’artista,
che non ha peli sulla lingua e non teme mai di dire tutto ciò che pensa.
Le sessions si sono svolte alla fine in Toscana, a Castiglion Fiorentino,
ed il sound che ne è uscito fuori si distingue dal precedente soprattutto
a livello di energia. In altre parole, mentre il già citato album si distingueva
per la sua anima quasi dark e introspettiva, nel nuovo lavoro prevale
un ritmo più sostenuto e le chitarre sovente la fanno da padrone. Basta
sentire le prime note della title track in apertura per capire che l’aria
è cambiata, con il bravissimo chitarrista romano Federico Ciancabilla
(che ho avuto anche il piacere di apprezzare dal vivo) a regalare al brano
una convincente base elettrica. Si tratta evidentemente del brano chiave
nell’economia dell’album, con un retrogusto amarognolo e, anche attraverso
alcuni ricordi di infanzia di Vanessa, parla in primis di come nei nostri
“tempi moderni” tutto sia diventato così irrispettoso della bellezza,
a causa del vile danaro (la casetta di legno della nonna con un elegante
porticato, distrutto per costruirci una “mega scatola” di cemento col
pavimento in finto legno). In generale poi la critica si sposta su come
tutto ciò che viene costruito, subito diventi vecchio e buttato via, per
non parlare dell’onnipresenza dei cellulari che hanno letteralmente stravolto
le nostre vite.
Altro episodio decisamente interessante è l’uptempo radiofonico di Hood
Ornament, con batteria (il marito polistrumentista Rip Rowan),
tastiere (Matteo Patrone) e chitarra perfettamente complementari nel costruire
una cornice sonora intorno alla voce della Peters. Verosimilmente il brano
migliore del disco col quale sottolinea, senza tante metafore, quanto
sia difficile per una donna farsi largo nel mondo della musica. C’è spazio
anche per qualche ballata midtempo dall’incipit elettro-acustico come
The Band Played On, vero e proprio
inno alla resilienza contro l’arroganza e la violenza. Il finale è solare,
con Still Got Time (un pezzo stilisticamente Peters d.o.c.), sincero
incoraggiamento per tutti coloro che, dominati dal pessimismo anche a
causa dei tempi che stiamo vivendo, sembrano non riuscire più ad aprirsi
alla vita. Dopo le belle cover di Mixtape
del 2020, questa manciata di inediti di Modern Age è
una boccata di aria fresca alla quale personalmente farò spesso ricorso
in questa primavera del 2021, che si preannuncia tutt’altro che facile.