Più che alla primavera questo Think of Spring
fa pensare a un autunno malinconico e dolciastro, oppure a un inverno
nevoso e nostalgico, diversivo per sole voce e chitarra che M Ward
si è inventato durante i mesi di isolamento, gli stessi che hanno
colpito tanti musicisti, privati del loro mestiere di suonare dal vivo.
Ne abbiamo viste già molte di iniziative simili, di album costruiti su
rivisitazioni e cover sparse, per ingannare la clausura, ma l’idea del
chitarrista di Portland sembra davvero originale sulla carta, per quanto
distante appare la materia di partenza. Galeotta fu la voce di Billie
Holiday, ascoltata per la prima volta, svela Matt Ward, una
ventina di anni fa in diffusione dalle casse di un grande centro commerciale.
Amore a prima vista - come altrimenti? - sebbene si trattasse della Holiday
del crepuscolo, ferita nella voce e nell’anima, quella di Lady in Satin,
uno degli ultimi lavori incisi in carriera dalla diva jazz. Ed è proprio
l’intera scaletta di quell’album, cambiata nella sequenza originale, che
M Ward affronta senza indugi in Think of Spring, titolo che attinge
direttamente alla poesia di Jane Brown-Thompson, poi divenuta il canovaccio
per la stesura da parte del grande autore Hoagy Carmichael di I Get
Along Without You Very Well, il brano che apre questa raccolta. Undici
bozzetti acustici, come anticipato, incisi per buona parte su un registratore
Tascam a quattro tracce, dove sperimentare in libertà con le accordature
(M Ward si bea soddisfatto di avere “piegato” la struttura armonica di
For Heaven’s Sake alla sua accordatura in Si aperto) e non preoccuparsi
troppo dei confronti, peraltro insostenibili.
Se vi fosse mai capitato di ascoltare Lady in Satin, estraniatevi
non solo dalla voce della Holiday, ma anche dagli arrangiamenti dell’orchestra
di Ray Ellis, affondate invece la testa nel cuscino e fatevi cullare dai
sussurri tipici della voce di M Ward, dalla sua “bassa fedeltà” acustica
e dal scintillio dello strumento. I quali qui indugiano più del solito,
errando fino alla chiusura drammatica di You Don’t Know What Love Is,
forse chiedendo uno sforzo di astrazione troppo grande per non pensare
alla presenza ingombrante della “signora che cantava il blues”. L’esercizio
di stile alla chitarra non si discute e conserva quel tono in apparenza
dimesso eppure irresistibile che ha fatto di Ward un maestro in queste
stagioni (certi giochi e passaggi in You’ve Changed
e Violets for Your Furs, il cullare della melodia di I’ll
Be Around), ma a volte non sembra bastare a sorreggere l’intensità
di capolavori quali I’m a Fool to Want You, se non rendendoli delle
piacevoli variazioni a soggetto.
L’ultimo vero album di M Ward, Migration
Stories, risale soltanto alla scorsa primavera, ma evidentemente
non bastava a tenerlo a freno: lo capiamo, è il suo mestiere, anche se
Think of Spring occupa più lo spazio di una insoddisfazione personale
che non l’esigenza di un vero gesto artistico.