Colpi duri dalla vita ne ha ricevuti parecchi Adrian James
Croce, A.J. per tutti quelli che ne seguono le gesta musicali. Figlio
d’arte che ha sempre dovuto convivere con l’ombra di un padre (Jim Croce)
scomparso quando Adrian aveva soltanto due anni, sballottato in seguito
con la madre lungo gli States, parzialmente lesionato nella vista fin
da ragazzo, il destino si è accanito fino a portagli via la compagna Marlo,
morta improvvisamente per una malattia al cuore nel 2018. Da quel dolore
profondo e incomprensibile per la perdita della moglie, A.J. Croce
cerca di risollevarsi trovando conforto nell’unica sua autentica medicina,
la musica, ma soprattutto in quelle canzoni in grado di risollevarne spirito
e animo. By Request diventa così qualcosa di più di una
semplice, banale raccolta di cover, magari pubblicata per temporeggiare
in attesa di nuove idee: è una forma di cura che va a pescare in quel
songbook che il pianista e autore conosce a memoria e spesso utilizza
per galvanizzare il pubblico e la stessa band che lo accompagna.
Letta in questo modo, la scaletta di dodici brani altrui acquista ancora
più spigliatezza rispetto a una già adorabile rivisitazione del repertorio,
che riporta A.J. Croce sui sentieri di quel rock’n’roll intriso di umori
soul e gospel, di notti a New Orleans e bevute a Memphis che ne annunciarono
il fascino a inizio carriera (la promessa di That’s
Me at the Bar, il suo album a tutt’oggi più ricordato, o il
successivo, grintoso Fit to Serve). Inciso insieme alla sua touring
band, con qualche fiato a dare manforte e la partecipazione di Robben
Ford alla chitarra, il disco non aggiunge nulla di nuovo al canone estetico
di Croce, e tuttavia, se risulta di conforto all’artista, perché negarne
il fascino e la positività? Così accade che nessuna delle interpretazioni
risulti mai scontata, pur nel rispetto della forma originale (San Diego
Serenade di Tom Waits forse la più prevedibile), oltre a evitare di
soffermarsi su brani fin troppo abusati: c’è il brio rhythm’n’blues di
Nothing from Nothing (Billy Preston)
in apertura a sancire la bontà dell’operazione, con il piano saltellante
di Croce che impazza e tutta la band che si trascina appresso al leader.
Un bel biglietto da visita, che subito trascende nel curioso abito gospel
che A.J. cuce intorno al classico di Neil Young, Only
Love Can Break Your Heart, qui infusa anche dalle voci femminili
di sostegno. La baraonda di Have You Seen My Baby (Randy Newman)
è puro r&b di marca New Orleans che passa per il fantasma di Little Richard,
ideale ambientazione per l’ugola arrochita di Croce e il suo pianismo
boogie, i quali tornano come un fulmine in Stay With Me dei Faces,
la più animosa a rock dell’intero album. Tempo per un romantico Sam Cooke
d’annata in Nothing Can Change this Love, che è già tempo di blues
in Better Day, brano di Brownie McGhee
qui abbandonato su un letto di swing e piccanti interventi della slide
dell’ospite Robben Ford. Si accennava al fatto che By Request evitasse
i luoghi comuni e le luci della ribalta: così si spiegano i ripescaggi
di gemme poco note come Brickyard Blues
di Allen Touissant (vale la pena ricordare un’adorabile versione dello
scozzese Frankie Miller), Ooh Child dei Five Stairsteps e persino
i Beach Boys di Sail on Sailor.
Memorie di un’educazione musicale e di una passione condivisa, le canzoni
di By Request serviranno forse ad A.J. Croce per trovare una ragione
in più per proseguire il suo viaggio artistico.