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Uno scherzo del destino prima ancora
che una vera rock'n'roll band, un'amicizia non solo artistica che oggi si fa davvero
fatica a comprendere se non si ritorna ad una precisa stagione del rock americano.
È significativo riconoscere al progetto Danny & Dusty un ruolo che va oltre
il semplice carattere gioioso e sfaccendato del trovarsi insieme a suonare: pur
nella sua totale informalità ha sempre rappresentato la sublimazione di un periodo
magico della California e non solo dei primi anni '80, quando un manipolo di cani
sciolti formatisi tanto sulle ceneri del giovane punk quanto sulla polvere del
passato, fra psichedelia, Dylan, Young e tradizione folk, hanno ridato un senso
al rock'n'roll mantenendone i legami con la storia e nello stesso momento spostando
in avanti il baricentro. Dentro la creatura Danny & Dusty convivevano allora il
country straccione dei Green on Red, il roots rock chitarristico dei Long Ryders,
la tensione punk dei Dream Syndicate, fotografando musicisti, vite, affetti che
andavano oltre il dato discografico. Vent'anni dopo rispolverare quella sigla
non è stata certo un'operazione calcolata e di marketing, ne tanto meno una di
quelle reunion votate all'accatto monetario, piuttosto una questione nostalgica,
forse spinta dalla stessa richiesta del pubblico che se li era persi due decenni
prima. Del disco uscito questa primavera, Cast
Iron Soul, ne abbiamo parlato con accondiscendenza, riconoscendovi
una scintilla di onestà e ardore, senza purtroppo l'esuberanza di un tempo. Di
questo Live in Nuremberg del 19 aprile del 2007, che testimonia
l'apertura del tour europeo che in seguito li ha portati anche dalle nostre parti,
dobbiamo invece sottolineare la capacità di ridare linfa al repertorio vecchio
e soprattutto nuovo, diminuendo le distanze, pure evidenti, fra quello che è stato
e quello che effettivamente rappresentano oggi Danny & Dusty. Danny è Dan Stuart,
ritornato a nuova vita dall'inferno: cappellino in testa, tenuta da pescatore,
loser per eccellenza, le immancabili birre in mano, entra sul palco e sembra
meno spaesato del solito, ma soprattutto ha mantenuto quella voce, unica, sgraziata,
inconfondibile. Dusty è Steve Wynn, sempre sul pezzo, immutato timoniere
che sorregge il compagno Danny e guida la band con l'entusiasmo che gli è solito.
Il resto non è un controno: ci sono ancora i vecchi compagni delle prima ora Chris
Cacavas, insostituibile al piano, e Stephen McCarthy alle chitarre
e lap steel, con l'aggiunta di Bob Rupe (basso) e Johnny Holt (batteria),
sezione rimtica indispensabile e assai più affiatata di quella sentita nelle date
italiane di questa estate. Registrato al K4 di Norimberga, terra tedesca patria
della Blue Rose, e intitolato in calce Here's to You Max Morlock
(omaggio all'eroe calcistico locale, campione del mondo nel 1954 con la Germania),
il doppio live in questione (generosamente allargato ad un terzo dischetto, l'intero
DVD dello show registrato con i soliti pochi mezzi e la tanta buona volontà) sbanda
fra passato e presente, ma riesce a divertire e convincere. Lo scompenso fra il
repertorio è evidente: il saltellare country rock da bettola di The
Word is Out e la svogliata preghiera di Song
for the Dreamers accendono la miccia concedendosi subito ai ricordi.
Certo il passaggio a New York City Lullaby
e alla stessa Cast iron Soul, tratti dal recente
come back artistico del 2007, è brusco: eppure nel suono diretto e poco imbellettato
di questo Live in Nuremberg suonano assai più rodate. Un discorso che vale la
pena estendere alla pigra cantilena di Warren Oates e
The Last of the Only Ones, esempi di quel
country rock da crepuscolo su cui i Green on Red hanno costruito la seconda parte
della loro carriera. Ciò nonostante tutto sfuma di fronte ad una seconda parte
in cui rispuntano le scintille alcoliche dell'esordio The Lost Weekend:
Bend on the Road, Down
to the Bone, The King of the Losers,
Baby We All Gotta Go Down sono un'inno alle
bevute di un tempo, suonate con il dovuto trasporto (infallibile McCarthy alla
solista) anche se manca evidentemente il fuoco sacro della gioventù. Non è tuttavia
il caso di lamentarsi, lasciandosi anzi condurre verso un finale inatteso che
sfodera un'inedita e godereccia Honey in My Tea,
honky tonk al fulmicotone dove le voci di Danny & Dusty si rincorrono a vicenda,
cercando il giusto riposo in fondo alla strada con That's
What Brought Me Here, filastrocca che allarga un sorriso sui volti
degli ascoltatori, rinviando l'attesa per un'altra reunion. |