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Non solo blues: intervista a Paolo Bonfanti
Dagli
anni ottanta ad oggi, passando attraverso molteplici progetti ed esperienze con
musicisti di diversa estrazione, Paolo Bonfanti è andato avanti per la
sua strada mantenendo la schiena dritta e non piegandosi alle leggi del business.
Per questo è uno dei musicisti italiani più stimati anche dai colleghi. Lo abbiamo
raggiunto via mail in occasione della pubblicazione dell'eccellente Exile
On Backstreets. |
L'intervista
Hai iniziato come leader dei Big Fat Mama, uno dei pochi gruppi italiani di blues rilevanti degli anni ottanta. Che cosa ricordi di quell'esperienza e come ha influenzato gli sviluppi della tua carriera? Per me i Big Fat Mama sono stati fondamentali perché mi hanno dato la possibilità di iniziare una carriera come musicista. Sono stati la mia "road school" in qualche modo, un'esperienza che ha avuto la sua storia e poi si è esaurita, ma che ha comunque lasciato un segno importantissimo nella mia vita di musicista. Quali sono stati i musicisti che ti hanno influenzato maggiormente in ambito blues?
I primi gruppi che mi hanno avvicinato al blues sono stati gli americani Nighthawks
e due band inglesi come la Blues Band di Paul Jones e Dave Kelly e i Nine Below
Zero. Anche il John Mayall di Turning Point e Jazz Blues Fusion è stato importantissimo
nella mia formazione. Da lì ho scoperto i grandi maestri, due su tutti: Muddy
Waters e Elmore James. Devo dire che una grande spinta l'ho avuta anche da due
formazioni italiane: i Big Fat Mama che nella formazione di fine anni '70 erano
una sorta di leggenda a Genova e dintorni e la Treves Blues Band, che vidi per
la prima volta a Genova nel '76. Successivamente hai collezionato collaborazioni con personaggi importanti del blues inglese e italiano, del folk e del bluegrass. Quanto ti hanno aiutato ad ampliare il tuo discorso musicale, smarcandoti progressivamente dal blues? In
realtà già nei primi dischi con i Big Fat Mama il blues era la radice o se vogliamo
il pretesto per muoversi anche in altre direzioni (ad esempio il secondo album
suonava molto southern rock). Già prima di cominciare ad intraprendere la carriera
di musicista ero solito ascoltare moltissimi generi musicali. La mia formazione
"classica", tanto per fare un esempio, mi ha avvicinato al mondo della musica
sperimentale e del free jazz che tuttora frequento, se non come esecutore di sicuro
come ascoltatore. Il fatto di ascoltare differenti generi è stato sempre presente
nella mia vita. Direi che in qualche modo è il contrario di quello che si dice
nella domanda, nel senso che mi sono trovato a suonare con bands diversissime
dal punto di vista del genere musicale proprio per la mia innata curiosità verso
molti e differenti stili musicali. Ritieni che la tua carriera solista abbia avuto l'evoluzione che ti aspettavi e che hai cercato o certi sviluppi sono stati inaspettati? E' difficile prevedere precisamente un'evoluzione, ma posso dire che sono contento di quello che ho fatto e di quello che sto facendo. La musica per me è (come) la vita. Si possono fare errori, si possono a volte prendere strade/decisioni sbagliate, ma per quanto mi riguarda il bilancio è positivo. Certo, mi sono scelto un genere musicale che di sicuro non ti fa arricchire più di tanto dal punto di vista finanziario…sono un genovese un po' atipico! Consideri gli Slow Feet (band comprendente Franz Di Cioccio e Lucio Fabbri della PFM) un divertimento, l'occasione di suonare con degli amici o qualcosa in più? Siete sempre in attività? Gli Slow Feet sono un po' tutte e tre le cose e tante altre ancora. Soprattutto la possibilità di confrontarmi musicalmente ed umanamente con alcuni "mostri sacri" del rock italiano (e non solo, se pensiamo che la PFM è stata la prima band rock italiana a fare un tour e un disco live negli Stati Uniti già nei primi anni '70). L'attività sta continuando anche se tutti noi abbiamo un bel po' di impegni. C'è in programma di fare prima o poi un nuovo cd, questa volta (con tutta probabilità) con testi in italiano. Quanto conta l'aspetto didattico nella tua vita? Tra insegnamento, libri, dvd, carriera solista e collaborazioni mi sembri impegnato su molti fronti… Devo dire che ultimamente sono stato piuttosto prolifico con i metodi didattici. E' tutta "colpa" di Reno Brandoni e degli amici di www.fingerpicking.net che mi hanno fatto vincere la mia proverbiale pigrizia e mi hanno fatto mettere su carta (e su cd e dvd) un po' della mia esperienza musicale e didattica.
Che cosa rappresenta Exile On Backstreets nel tuo percorso? Mi pare un disco più vicino alla musica roots e al rhythm and blues, con una particolare attenzione ai testi… In effetti è il lavoro più vicino alla cosiddetta "black music" nel suo complesso della mia intera produzione. Devo dire che i testi per me sono da sempre una parte importantissima del lavoro. Sono sempre molto attento a scrivere cose che abbiano una profondità e non soltanto una buona assonanza con la musica. Questo succede fin dai tempi dei Big Fat Mama ed anche nei miei due lavori in italiano e in dialetto genovese. La maestosa title track
è un brano notevole che non sfigurerebbe in un disco di The Band o di Van Morrison.
I riferimenti nel titolo agli Stones e a Springsteen e nel testo a Dylan sono
casuali o voluti? Slow
Blues For Bruno è un lento che mi ha colpito per l'uso della fisarmonica al
posto della voce solista, molto emozionante come il tuo assolo di chitarra…
Ammetto di non avere capito il senso di un brano rappato
come Black Glove. E' un tentativo di arrivare ad un pubblico che abitualmente
non ti ascolta? Mi
ha sorpreso anche la cover di Up To My Neck To You degli Ac/Dc…non mi sembra
molto nelle tue corde al contrario di I'll Never Get Out Of This World Alive
di Hank Williams…
Complessivamente sei soddisfatto del disco o riascoltandolo
pensi che avresti potuto cambiare qualcosa? Preferisci
suonare da solo, in trio o con la band al completo? Quali
sono i tuoi prossimi progetti oltre alla promozione di Exile On Backstreets?
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