:: Andrea Parodi, intervista
Tra Austin e la Brianza

C'è una nuova via alla canzone d'autore in Italia, nonostante non se ne siano ancora accorti ai piani alti, troppo occupati forse a vendere l'inutile novità del momento. E' una via che staziona a metà strada fra le lande desolate del border texano e la provincia italiana, fra la passione di chi è cresciuto sia con la poesia di De Andrè sia con quella di Townes Van zandt e di una altra decina di songwriter solitari. Andrea Parodi, e con lui altre facce nuove e interessanti (ad esempio l'amico Massimiliano Larocca), si è messo proprio su questo sentiero: con passione infinita, pazienza certosina e molta buona volontà. Il salto di qualità dall'esordio, ormai troppo lontano nel tempo di Le piscine di Fecchio, e l'ultimo arrivato, Soldati, è stato vistoso e incoraggiante. Invece di bruciare le tappe e perdersi nelle regole della discografia moderna, Andrea ha coltivato il suo sogno, prendendo lezioni dalla strada: ha suonato in tanti posti, compresi gli States ovviamente, coltivando amicizie che sono tornate utili. Speriamo sia soltanto l'inizio per una costante maturazione. Dell'ultimo Soldati e delle sue tante iniziative, non ultima quella di appassionato promoter musicale abbiamo parlato in questa intervista
(a cura di Fabio Cerbone)


L'intervista

Te lo avranno già chiesto in tanti, ma vorrei cominciare da qui: cinque anni dal tuo esordio sono tanti, forse troppi per un giovane autore che vuole farsi scoprire. Come mai questa lunga preparazione e cosa è accaduto nel tempo che ha separato "Le piscine di Fecchio" da Soldati?

Ho iniziato le registrazioni di Soldati quasi cinque anni fa a Vancouver, ma ho deciso di ricantare quasi tutto il disco in Italia, perché in USA e in Canada spesso la voce viene tenuta molto dentro la canzone. Adoro quel tipo di sound, pensa a Steve Earle ad esempio, la voce non viene particolarmente fuori rispetto agli altri strumenti, nonostante scriva dei testi eccezionali. E soprattutto non ci sono riverberi o effetti particolari, è una voce cruda. Però per questo disco ho sentito la necessità di coniugare questo tipo di mentalità con le esigenze legate al cantaurato italiano, dove la voce ha bisogno di essere scaldata un pochino e messa in rilievo. In realtà a Vancouver ci sono voluti soltanto 11 giorni per registrare 15 dei 16 pezzi che compongono l'album, grazie anche a Bocephus King, eccezionale alla "regia". In Italia, invece, è stato necessario un po' di tempo per terminare le registrazioni, soprattutto di tutte le special guests. Mi piacerebbe molto poter fare uscire dischi con una frequenza regolare, scrivo canzoni costantemente e l'attività live è molto intensa ma purtroppo tutto questo non è sufficiente. In Italia mancano le condizioni, manca una scena musicale e così ho dovuto prendere tempo e aspettare che arrivasse l'occasione giusta non soltanto per pubblicare il disco ma soprattutto per avere le garanzie di distribuirlo e promuoverlo nel migliore dei modi. Alla fine è arrivato il contratto con LifeGate.

Il disco sembra raccogliere veramente moltissimi stimoli musicali, forse proprio per la sua lunga gestazione: non hai mai avuto paura di perdere per strada la concentrazione o peggio non ottenere una certa omogeneità nel risultato finale?

Ho voluto correre qualche rischio, soprattutto decidendo di pubblicare tutte e 16 le canzoni a cui abbiamo lavorato. Ma dietro tutto il lavoro c'era un progetto preciso e forte. Il concept dei "soldati" sui contenuti e il sound a metà strada tra la canzone d'autore italiana e il rock americano. C'è solo un brano che si scosta completamente dal resto del lavoro che è Tania la guerrigliera, che ha delle sonorità più orientate verso Buena Vista Social Club mentre tutto il resto del disco credo sia molto omogeneo grazie soprattutto a Bocephus King, che è un grandissimo produttore.

Sembra davvero che tu abbia messo a frutto davvero le mille amicizie artistiche fatte sulla strada in questi anni. Come è stato lavorare con più artisti e chi ti ha aiutato di più nel mantenere il controllo dell'intera situazione?

Il mio modo di concepire la musica è scambio e confronto e in questi anni mi sono trovato a dividere il palco con grandi artisti. Credo molto nelle collaborazioni, quando queste nascono in modo naturale, dal desiderio di condividere esperienze e stimoli comuni. Non ho mai avuto la sensazione di perdere il controllo della situazione, perché credo fermamente in questo modo di fare musica. A giochi fatti è vero che si può quasi parlare di un album corale, ma credo che il forte concept del disco e la mano di Bocephus King negli arrangiamenti abbiano tracciato dei confini precisi al progetto.

C'è qualche collaborazione artistica in particolare che ti piacerebbe ricordare più di altre in Soldati? Qualche incontro che ti ha sorpreso più di altri?

Ce ne sono tante… I Gang negli ultimi anni sono stati un punto di riferimento importantissimo, soprattutto per la mentalità con cui vivono la musica e la strada. È splendido il calore che trovano dalla gente in qualunque città d'Italia si trovino a suonare. Mi capita spesso di dividere il palco con loro ed è una esperienza impagabile. Claudio Lolli… sentire la sua voce cantare su Per non sentirsi soli mi da ancora i brividi; è uno dei miei cantautori italiani preferiti di sempre. E poi Massimiliano Larocca, perché è stato l'inizio di un'amicizia e di una collaborazione artistica destinata a darci grandissime soddisfazioni. Infine sottolineerei la partecipazione di Suni Paz, una cantautrice che negli anni '60 suonava al fianco di Dylan, Mercedes Sosa e Joan Baez ma che negli ultimi tempi si era ritirata ad insegnare musica in una scuola elementare di Los Angeles. L'ho scovata grazie ad internet e abbiamo riportato alla luce una sua canzone del 1973, Tania la guerrigliera, in una versione metà in italiano e metà in spagnolo.

Anche questa volta hai prodotto il disco fra l'Italia e gli Usa, con la collaborazione attiva di Bocephus King e altri musicisti nord-americani: viene naturale chiederti innanzi tutto perché questa scelta, solo una ragione di amicizia e opportunità o eri alla ricerca di un suono che non potevi trovare da noi?

Hai mai provato a fare il caffè negli Stati Uniti, magari portandoti moka e caffè da casa? Oppure a cucinarti degli spaghetti? Non c'è niente da fare, non sarà mai la stessa cosa. Questo a mio avviso vale anche per il sound delle chitarre elettriche e per tutto il resto. Volevo quel suono, sono un innamorato del rock americano e quindi ho deciso anche per questo secondo disco di volare in Canada. L'incontro con Bocephus King è stato molto bello. Anni fa scrivevo per il Corriere di Como, un quotidiano che usciva allegato al Corriere della Sera, ed ero andato in un locale della mia città per recensire il concerto di un rocker canadese di cui si dicevano grandi cose: Bocephus King. Il concerto fu strepitoso e qualche sera dopo ci ritrovammo a mangiare insieme il pesce in un ristorante di Milano. All'improvviso comparve una chitarra fra i tavoli e così suonai anch'io qualche mia canzone. Bocephus King ne rimase colpito e mi invitò ad andare in Canada a registrare il mio primo disco. Un mese dopo ero sull'aereo.

Ci sono stati ascolti particolari che hanno influenzato le sonorità di Soldati? A prima vista appare come un disco molto più completo e variegato rispetto al tuo debutto: c'è la canzone d'autore italiana da una parte, ma anche molto folk americano dall'altra…

Ci sono diversi ascolti importanti che hanno profondamente influenzato Soldati. Su tutti Wildflowers di Tom Petty che è la sintesi perfetta del suono che cercavo. Sicuramente anche Blood on the Tracks di Dylan anche se la produzione di Bocephus King non è così "essenziale". Durante le registrazioni abbiamo ascoltato tanto anche i Kinks, alcune cose degli Stones, i Los Lobos e Car Wheels on a Gravel Road di Lucinda Williams e i grandi sonwgriter come John Prine, Townes Van Zandt e Guy Clark. Infine, per quanto riguarda il concept, il punto di riferimento è ovviamente Fabrizio De Andrè, che ha affascinato tantissimo anche lo stesso Bocephus King, soprattutto nel cercare di vedere il disco non soltanto come una raccolta di canzoni ma come un progetto più profondo. Anche se poi ogni singola canzone deve essere bella ed estraibile dal contesto.

Nella recensione facevo notare come il disco mi sembrasse unito nelle sue diverse parti da tematiche simili: una ricerca della libertà che muove molti personaggi e i loro ricordi. Dal tuo punto di vista, cosa volevi raccontare e da dove sei partito tematicamente per unire fra loro queste canzoni?

Mi interessava soprattutto dipingere le condizioni e lo stato d'animo dei personaggi, quel senso di malinconia e quel desiderio di libertà che possiamo soltanto accarezzare e mai stringere in un pugno, nonostante sia così limpido in fondo ai nostri cuori. E così c'è la solitudine dell'immigrato, della prostituta, del soldato al fronte che manda le lettere alla propria madre, dell'anarchico che ha lasciato l'amore per inseguire un ideale, dell'innamorato… sono tutti dei "soldati" chiamati ad affrontare giorno dopo giorno le loro condizioni di vita. E poi c'è il tema della Memoria, del legame con il passato…

Prima ti chiedevo di eventuali ascolti, dischi o artisti che hanno ispirato la tua musica. Dovessi chiederti invece se esiste un'influenza letteraria su quello che scrivi? Ho notato che alcune canzoni parlano di Resistenza, di lotte di liberazione e di un certo immaginario storico: sono nate soltanto dalle tue esperienze familiari o hanno un retroterra fatto di letture o magari particolari visioni cinematografiche?

Da questo punto di vista l'influenza più significativa è stata mia nonna Erina, che se n'è andata poco prima che il disco venisse alla luce… in particolare le sue storie e i suoi ricordi. Questo è quello che ho cercato di tenere vivo nel disco. E comunque sono un grandissimo appassionato di Cinema e la mia musica ne è profondamente condizionata, non tanto nei contenuti, ma soprattutto nel linguaggio. Posso dirti che credo di essere influenzato da Kaurismaki, Scorsese, Kim ki-duk, Pasolini, i fratelli Coen tanto quanto da Dylan e Springsteen. E comunque sono sempre alla ricerca di storie, arrivino esse da un film, da un libro, dalla fantasia o dai racconti di un pescatore o di uno sconosciuto al bancone del bar.

Mi pare che il disco abbia ottenuto una migliore distribuzione grazie all'interessamento dell'etichetta di Lifegate, come ricordavi all'inizio: come è nata questa collaborazione? So che in passato avevi prestato la tua voce anche per alcune trasmissioni radiofoniche del circuito Lifegate…

Dopo l'esperienza di autoproduzione con Le Piscine di Fecchio, che tra l'altro ristamperò prima dell'estate con del materiale inedito, ero alla ricerca di una distribuzione solida e soprattutto di un'etichetta che mi garantisse anche un supporto promozionale. Il disco è piaciuto molto a Enea Roveda, il presidente di LifeGate Radio e così mi ha messo sotto contratto. È stata una grande opportunità e anche i Gang sono approdati quasi contemporaneamente a LifeGate. Quello che mi è piaciuto del mondo LifeGateè soprattutto la trasversalità. Grazie al loro contributo il disco è stato stampato su carta riciclata ed è stato messo a impatto 0, così come il tour che sto facendo, per veicolare un messaggio di attenzione e sensibilizzazione al tema ambientale. Lo scorso anno ho anche condotto una trasmissione radiofonica on the road dal titolo Life is a Carnival, il celebre brano di The Band. Ho girato l'Italia a bordo di una Kia Carnival e ad ogni puntata incontravo un ospite diverso che portava anche i cd da ascoltare durante il viaggio.

Recentemente hai legato spesso il tuo nome, insieme a quello di Massimiliano Larocca, a numerose iniziative dal vivo, organizzando concerti, festival e portando un angolo di America in Italia: quali insegnamenti, se ci sono stati, pensi di avere appreso dai molti folksinger che hai portato ad esibirsi sui palchi italiani?

Gli insegnamenti sono tantissimi, non si smette mai di imparare e la strada è stata sicuramente la palestra più importante, grazie soprattutto ai preziosi incontri fatti. Dai folksinger americani ho appreso soprattutto la professionalità e la serietà con cui si esibiscono davanti ad un pubblico, sia che ci siano 1000 persone, sia che ce ne siano 10. Suonare è il nostro mestiere, nessuno ti regala niente, è vero che sarebbe bello esibirsi sempre davanti ad un pubblico attento e numeroso ma non capita spesso. Ho visto più umiltà in cantautori del calibro di Lyle Lovett, Eric Taylor, Sam Baker che in tanti ragazzi che in Italia rincorrono probabilmente più la celebrità che delle passioni profonde e sincere. A me interessa scrivere canzoni, belle canzoni ed emozionarmi nel suonarle davanti anche ad una manciata di persone. Questo è il punto di partenza.

Più in generale cosa ti affascina di un certo cantautorato americano e texano in particolare, tanto da portarti spesso a viaggiare negli States, per esempio al festival del South by Southwest. Forse quell'idea di romanticismo e nomadismo che spesso lo accompagna?

La stella solitaria del Texas mi ha stregato. Sono quattro anni di fila che vado a Austin a marzo e il prossimo anno registrerò lì il mio terzo disco. Magari convinco Gurf Morlix a produrlo. I cantautori texani hanno una marcia in più, non so spiegarti quanto possa aver contato un certo tipo di contaminazione di sonorità legate soprattutto alle influenze del vicino Messico. Poi col tempo si è creata una vera e propria comunità di songwriter e chi vuole fare canzoni spesso si trasferisce da quelle parti. Non mi piace fare paragoni però quel romanticismo e quel nomadismo di cui parlavi, misto anche a quel disperato senso di malinconia e di trasgressione, ma anche di purezza… questi aspetti fanno di Townes Van Zandt, Guy Clark e Steve Earle delle leggende del songwriting americano. Scrivere canzoni non è una via per arrivare al successo, è un bisogno reale per non impazzire.

 

 


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