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250 di questi BooksHighway!

Quando abbiamo cominciato BooksHighway pensavamo fosse una deviazione letteraria estemporanea dal flusso infinito di rock’n’roll che attraversa quotidianamente RootsHighway, e invece siamo qui a festeggiare il numero 250 in compagnia di David Joy, uno scrittore particolarmente vicino ai temi che trattiamo da sempre. Nel frattempo, BooksHighway si è moltiplicato, prima diventando un blog di letteratura nordamericana e caraibica, a cui si sono aggiunti BooksSpecial (il resto del mondo) e BooksNormali (l’Italia). E mentre BooksHighway (la rubrica) arriva all’inaspettato traguardo, grazie anche agli amici che ci hanno seguito e collaborato (you know who you are), i blog hanno raggiunto un milione di visite e RootsHighway, beh, lo vedete tutti, viaggia alla grande. Lo diciamo sottovoce, ma continuiamo a divertirci un sacco.
 
 

David Joy
Dove tende la luce, lo speciale

- a cura di Fabio Cerbone e Marco Denti -

David Joy
Dove tende la luce

[Jimenez edizioni, pp.240]

Cuore di un’America rurale fatta di contrasti e leggende, di povertà, sfruttamento e cittadine in decadenza, ma anche di luoghi comuni che si appiccicano addosso ai suoi abitanti e di un orgoglio che vorrebbe immaginare una via di uscita, l’Appalachia è una lunga striscia di terra che ha generato una sorta di epica all’interno della narrativa americana.

Tra i più interessanti nuovi autori nel descrivere l’eterna lotta fra tradizione e modernità di questo angolo degli Stati Uniti c’è sicuramente David Joy, scrittore di Tuckasegee, North Carolina, che nell’arco dei due romanzi pubblicati in Italia da Jimenez edizioni (Queste montagne bruciano del 2022, in realtà quarto titolo in carriera; il recente Dove tende la luce, 2023, esordio vero e proprio di Joy) ha saputo raccogliere il testimone di una cosiddetta “crime novel” che dagli elementi di genere ha tratto la capacità di raccontare qualcosa di più profondo, superando la violenza della superficie. Si tratta dell’isolamento delle comunità, così come del conflitto perenne con un destino che sembra marchiare la vita di molte persone che ci vivono, nonché i problemi irrisolti di un territorio (più o meno quella catena che scorre fra Virginia, Carolina del Nord, Kentucky, Tennessee e arriva a lambire il Sud di Georgia e Alabama) che continua a dispiegare il suo fascino un po’ ancestrale, quella contrapposizione che si genera tra uomo e ambiente circostante.

Come il suo mentore Ron Rash (presente nella raccolta di racconti "Al Fiume", curata dallo stesso Joy insieme a Eric Rickstad), in buona compagnia di colleghi quali Brian Panowich e Jordan Farmer, anche David Joy ha trovato la sua “voce” dentro le regole di un genere, facendo scontrare la bellezza misteriosa degli Appalachi con le esistenze laceranti dei suoi personaggi. Ne abbiamo parlato nell'intervista esclusiva per RootsHighway che trovate qui di seguito.


La recensione di "Dove tende la luce", dal blog di BooksHighway:
bookshighway.blogspot.com/2023/03/david-joy.html

Lo speciale dedicato a "Queste montagne bruciano":
www.rootshighway.it/bookshighway/books237.htm

La recensione di "Al Fiume. 25 Scrittori sulla pesca":
bookshighway.blogspot.com/2022/09/david-joy-eric-rickstad.html



Intervista con l'autore
(a cura di Fabio Cerbone e Marco Denti)

In Queste montagne bruciano era presente una dedica allo scrittore Ron Rash, in anni recenti tra gli autori più importanti nel descrivere la terra degli Appalachi. Come vi siete conosciuti?

Ron (Rash) è stato un professore dell’università che ho frequentato. All’inizio, quando ancora cercavo di scrivere, ho condiviso una storia con un’insegnante che ammiravo e di cui mi fidavo. Era una professoressa di letteratura e, per quanto riguarda la scrittura creativa, mi ha detto: “David, non è quello che faccio. Ma lascia che ti presenti qualcuno che lo fa”. Mi ha ha accompagnato all’ufficio accanto al suo e mi ha presentato Ron (Rash). Era ancora all’inizio della sua carriera nella narrativa. Non aveva ancora il nome che ha adesso. Siamo diventati amici andando a pesca insieme, poi ho cominciato a seguire le sue lezioni e ha contribuito a guidarmi a quello che sono diventato. Sono stato molto fortunato ad arrivare fin qui.

Oltre a Ron Rash, ci sono altri scrittori che pensi abbiamo ispirato il tuo approccio a raccontare il paesaggio di questa particolare area degli Stati Uniti?

Per persone come me, della mia età, e che arrivano dal Sud degli Stati Uniti ci sono tre pilastri: William Gay, Larry Brown e Harry Crews. Ricordo che Ron (Rash) mi diede una copia di I Hate To See That Evening Sun Go Down di William Gay. Era la prima volta nella mia vita che riconoscevo le persone e i luoghi da cui provenivo, la prima volta che ho capito che si poteva raccontare quel tipo di storia. Per me è stato un punto di svolta. Se penso a quello che ho rubato a ciascuno di quegli scrittori, probabilmente è la comprensione di un luogo e della sua gente di Larry Brown, l’onestà inesorabile di Harry Crews, e il linguaggio e il suono di William Gay.

Nei tuoi romanzi il destino delle persone sembra fortemente intrecciato con quello del territorio ed emerge spesso l’isolamento delle comunità rurali degli Appalachi. Tu stesso vivi nella North Carolina. Com’è vivere da quelle parti in questo momento?

Ron (Rash) era solito dire: “Il paesaggio è destino”, e tendo ad essere d’accordo con questa affermazione. Quando cresci in un luogo rurale, e in particolare in un luogo come gli Appalachi, dove il paesaggio è così immenso e incombente e inevitabile, non puoi fare a meno di condividere la tua visione del mondo. Non c’è un momento in cui le montagne non mi circondano. Guardare fuori dalla mia finestra, in questo momento, è semplicemente travolgente. Penso che ci siano due modi in cui le persone tendono a guardare chi vive qui: per alcuni può essere come i muri, può farli sentire intrappolati, e per gli altri ci si sente come se si stesse nel palmo della mano di Dio. È così per me. Quindi, è impossibile vivere in un posto così e non rimanerne influenzati.

Dal tuo primo romanzo, Dove tende la luce, il regista Ben Young sta girando attualmente un film: quanto cinema pensi sia entrato nella tua scrittura? Scrivi pensando per immagini e credi che l’immaginario di una certa cinematografia americana sia penetrato nei tuoi romanzi?

Penso di essere uno scrittore che lavora partendo dalle immagini. Per me è tutto molto visivo. Non so dire se sono influenzato dal cinema. Per me è così che arriva la storia. Penso che il mio lavoro si presti bene all’adattamento in quanto tende a svilupparsi in un piccolo lasso di tempo con pochi personaggi in un unico luogo. Sono tutte immagini abbastanza veloci. Tutti questi elementi si trasferiscono bene alla pellicola. Forse un giorno vedremo un adattamento italiano di qualcosa che ho fatto. Se mai dovesse succedere il mio voto andrebbe a Valentina Bertuzzi.

David Joy, la playlist

In Queste montagne bruciano a un certo punto citi una canzone degli American Aquarium, una band originaria della North Carolina. So che hai scritto anche le note di presentazione del loro ultimo disco. Ci chiedevamo: ci sono artisti o band che con le loro canzoni hanno influenzato le tue storie o persino i personaggi?

Ascolto molta musica. In passato c’erano Townes Van Zandt e Blaze Foley, poi Drive-By Truckers, Lucero, Jason Isbell. Ascolto sempre qualcosa e penso che il mio attaccamento al linguaggio sia iniziato proprio con la musica. Adoro sicuramente American Aquarium. BJ Barham è un cantautore così brillante. C’è in realtà una canzone sul loro album Lamentations chiamata Me + Mine che potrebbe definire molto di ciò che Raymond Mathis si sente e descrive nel capitolo finale di Queste montagne bruciano. Comunque, nell’ultimo anno o giù di lì alcuni dei miei album preferiti sono stati Single Wide Dreamer di Aaron Raitiere, American Heartbreak di Zach Bryan, Ramble On di Charlie Marie, Can I Take My Hounds To Heaven di Tyler Childers, The Liar di John Fullbright e What Else Can She Do di Kaitlin Butts. Un altro paio di songwriter che credo meriterebbero molto di più sono Arlo McKinley e Willy Tea Taylor.

A proposito di Townes Van Zandt, ci pare che in Dove tende la luce le sue canzoni abbiano un ruolo fondamentale.

Con Dove tende la luce è stato molto diverso. Mi sono svegliato una notte da un sogno e potevo sentire Jacob McNeely parlare. Quando è emerso nella mia mente era accompagnato da una canzone. Riuscivo ad ascoltare Rex’s Blues di Townes Van Zandt che risuonava in sottofondo. Quella canzone l’ha definito davvero in molti modi e nel corso della scrittura di quel romanzo è diventata una porta per tornare nella mente di quel personaggio.

Pensando alle difficotà che incontra Jacob Neely in Dove tende la luce, per quella che è la tua esperienza, è possibile sentire troppa simpatia per un personaggio?

Penso che lo scrittore dovrebbe sempre lottare per l’equilibrio. Non voglio che un lettore ami o odi semplicemente un personaggio. Voglio che il lettore vada avanti e indietro tra queste due possibilità. Il miglior colore sulla tavolozza di uno scrittore non è né bianco né nero. È grigio.

Da dove arriva l’idea principale di Dove tende la luce?

C’è una scena in quel romanzo in cui Jacob ricorda che suo padre gli fece uccidere un maiale da ragazzo. Quella è stata la genesi di quel romanzo. Quella era l’immagine e il momento da cui è partito tutto. Come è successo anche con altre storie, ti siedi con quell’immagine e cerchi di capire: chi sono queste persone, da dove vengono, dove stanno andando? Con Jacob McNeely è stato diverso, da quella notte in cui mi sono svegliato da un sogno e lui stava parlando. Sono partito letteralmente da lui e la vera questione è stata tenere il passo. Ho scritto la prima bozza di Dove tende la luce nel corso di circa un mese e mezzo. 

Cosa avresti voluto conoscere prima di scrivere Dove tende la luce, che magari hai scoperto dopo?

Non credo che mi sarebbe piaciuto sapere quello che ho imparato più tardi. Penso che il lavoro tende a diventare più difficile col passare del tempo. L’ambito si espande. Si capisce di più su ciò che sta succedendo e ciò che consente a una storia di riuscire o fallire. Succede che, ben presto, nessuna di queste cose importa. Quando stai scrivendo un romanzo per la prima volta non ci sono regole. Basta lasciare che i personaggi si muovano nelle pagine, e seguirli ciecamente.

La desolazione del paesaggio è una componente fondamentale di Dove tende la luce come di Queste montagne bruciano e sembra decisiva nell’evolversi della vita dei personaggi. Quanto le tue descrizioni sono vicine o ispirate dalla realtà?

Ho provato a rispondere un po’ con la domanda precedente sul paesaggio e provo a dirlo più chiaramente qui. L’Appalachia è un luogo che sta scomparendo. L’esperienza rurale in America è un modo di vivere che sta scomparendo. Lo sto ripetendo da un decennio, ma credo davvero che siamo all’interno di una generazione testimone di un’estinzione culturale. Per quanto riguarda gli Appalachi in particolare, questo è un luogo che è sempre stato sfruttato delle sue risorse, sia nella terra che per la gente, da ricchi interessi esterni. Prima sono venuti per il legname, poi per il carbone. Adesso vengono per la terra stessa e si stanno affollando da altrove con i soldi in tasca a comprare questo posto a un ritmo senza precedenti. La gentrificazione rurale è il mostro del momento. La gente del posto viene semplicemente valutata. Quando se ne vanno, non tornano. Non saranno in grado di tornare. Il filo che legava le persone a un posto è stato tagliato. E questo non è solo un fenomeno degli Appalachi o un fenomeno americano. Sta accadendo in Francia. Probabilmente sta accadendo in Italia. La cosa che temo di più di questa separazione delle persone dai luoghi che le hanno definite è che stiamo raggiungendo un punto di non ritorno nell’omologazione culturale. 

Quale trovi sia la parte più difficile nella stesura di un romanzo?

Per ogni romanzo è diverso e ognuno presenta i propri problemi, ma penso che, da dove sono arrivato ora, ciò che è più difficile è impegnarsi per la storia. E quello che voglio dire è che quando sono nel bel mezzo di un romanzo è come se vivessi in un mondo completamente diverso. La vita reale non si ferma, e devi ancora andare al supermercato o andare all'ufficio postale o qualsiasi altra cosa, ma quei momenti sembrano come se stessi camminando attraverso un sogno. Quando sono immerso nella scrittura di un romanzo, il mondo reale per me è interamente il mondo che ho creato. La storia mi svuota assolutamente. Non c’è più niente alla fine. E sapere tutto questo rende, difficile saltare giù dalla scogliera.

Alla fine, secondo te cosa rende grande una storia?

Penso che una storia inizi con un personaggio e la sua voce, ed entrambe queste cose sono direttamente legate alla terra da cui quel personaggio nasce. Se i dettagli non sono giusti, allora il lettore non crederà alla grande bugia. Ma detto questo, penso che ciò che rende una buona storia è la propulsione. Senza movimento non c’è nulla.

    


 


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