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bad
girl rock di
Nicola Gervasini (11/10/2013)
Il suo secondo album The
Only Things That Matters è stato anche un nostro disco del mese nel
2009, e con egual forza avevamo segnalato anche il successivo Alone
In This Together (2011), eppure il nome di Star Anna sta faticando
a farsi notare sia tra i nostri lettori che in patria, dove resta comunque un
fenomeno tutto sommato di nicchia. Forse le manca solo che David Letterman si
accorga di lei e le dia la passerella che in questi anni ha garantito a gran parte
del mondo rock americano, anche ad artiste molto meno meritevoli di lei. Perché
invece ci piace pensare che la ragazza possa diventare un nome importante, anche
alla luce di questo Go To Hell, nonostante non sia opera che ci
convince quanto le due precedenti. Perché la sua musica è quanto di più intelligentemente
reazionario esista al momento: è rock, spesso duro, sporco, vintage, derivativo,
essenziale, ma è anche un qualcosa che è pensato per l'oggi. Potrebbe essere la
musica che suonerebbero nel 2013 Janis Joplin se fosse ancora viva (la title track
ne è un chiaro omaggio) o Joan Jett se avesse voglia di non accontentarsi del
suo fedele pubblico raccolto con I Love Rock And Roll.
Ma stavolta
Star Anna prova ad ampliare il raggio, magari invadendo con più forza terreni
più rootsy alla Lucinda Williams (la strascicata Electric
Lights con la sua slide alla David Lindley suonata dall'interessante
chitarrista Jeff Fielder, o anche Younger Than) e acquisendo velleità da
cantautrice roots (l'iniziale For Anyone,
la dolce Mean Kind Of Love o la piano-song Everything
You Know). C'è forse meno rock diretto (ma nel finale la veemente e
quasi-punk Smoke Signals riporta tutto a casa),
qualche giro blues in più (Let Me Be, Power
of my Love), un aria meno da bar-band in favore di arrangiamenti più studiati.
Non voglio dire annacquati perché comunque si sente che si è stati attenti a non
disperdere l'energia della ragazza in troppi suoni non riproducibili su un palco,
ma un cambio di rotta sembra comunque evidente.
Che Go To Hell sia forse
anche il tentativo di cogliere un nuovo pubblico lo dimostra persino la copertina,
che sottolinea il suo look e atteggiamento da bad girl in stile Pink, oltre l'aver
abbandonato i fedeli Laughing Dogs in favore del più professionale co-produttore
Tye Baille e di una band di scafati session men. Così Go To Hell risponde meglio
alle esigenze del nuovo mercato discografico americano (sempre che ne esista ancora
uno degno di questo nome), compresa anche la durata ridottissima (34 minuti) e
l'ormai irrinunciabile utilizzo della cover d'autore per far parlare di se (una
Come On Up To The House di Tom Waits in versione
da taverna). Aggiungete una cartella stampa che enfatizza i complimenti ricevuti
dal Pearl Jam Mike McReady e dall'ex Guns N'Roses Duff McKagan e capite quanto
si stia imboccando la strada di quello che un tempo chiamavamo mainstream e che
oggi forse non è più distinguibile dalle strade alternative. Considerato quanto
sia stata deludente l'epopea artistica di Grace Potter, di spazio da conquistare
ce n'è…