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Dean Owens
Spirit Ridge
[Continental Song City 2025]

Sulla rete: deanowens.com

File Under: From Texas to Romagna


di Nicola Gervasini (13/03/2025)

Nel 2008 proprio su queste pagine parlai del primo disco lanciato a livello internazionale di Dean Owens (Whiskey Heart), descrivendo uno scozzese fieramente innamorato dell’America, presentato sulle note di copertina dal connazionale Irvine Welsh come una sorta di esploratore di un immaginario che noi qui ovviamente ben conosciamo. Uno dei suoi primi dischi autoprodotti si intitolava Gas, Food & Lodging, e credo che questo basti per accendere qualche lampadina nei nostri riferimenti culturali.

Nonostante l’impegno del produttore e chitarrista Will Kimbrough, il disco non impressionò troppo (ai tempi davamo i voti numerici, e si meritò un 6 di incoraggiamento), però il buon Owens ha continuato a studiare disco dopo disco, tonando nei nostri radar quando, decisosi per un trasferimento artistico in terra statunitense, ha cominciato a collaborare con gente come i Calexico per il già notevole Sinner's Shrine del 2022 e successiva saga di EP dedicati al confine messicano condensati nell’album El Tiradito (The Curse of Sinner's Shrine), a cui va aggiunto anche un side-project a tre mani sempre con Will Kimbrough e Neilson Hubbard (Pictures).

Insomma, Spirit Ridge è il classico disco in cui lo si aspetta un po’ al varco, perché ormai di esperienza ne ha tanta, e i buoni maestri non gli sono mancati, e infatti qui possiamo davvero a confermare che alla fine il “ragazzo” ce l’ha fatta a diventare un credibile cantore di frontiere yankee. E lo fa paradossalmente accasandosi nelle nostrane terre emiliane, sfruttando l’ormai consolidata esperienza di Don Antonio (alias Antonio Gramentieri) nel descrivere un certo immaginario musicale, contattato su consiglio proprio di John Convertino, che ha poi partecipato a queste sessions.

Potremmo quasi dire che Gramentieri ormai un disco del genere lo suona e produce ad occhi chiusi, e il suo tocco (e quello di alcuni suoi collaboratori, come ad esempio il chitarrista Luca Giovacchini) si sente al primo colpo nei riverberi dell’iniziale Eden Is Here o nel breve intermezzo mariachi di Spirito. A questo punto, se il risultato è garantito dal team, resta però da capire quanto Owens ci abbia messo di suo, e rispetto ad esempio al disco di 17 anni fa, in un brano tesissimo (e francamente bellissimo) come My Beloved Hills, è proprio la sua prova vocale che mostra una nuova maturità, che ribadisce come anche senza grandi e potenti mezzi vocali si possa comunque incidere su un brano.

Owens scrive tutti i brani con toni lenti e profondi, anche se c’è spazio anche per qualche episodio più veemente (l’epico dialogo tra chitarre e sezione d’archi di Light This World), e dopo un momento un po’ sperimentale (The Buzzard and the Crow), arriva l'uno-due da K.O. di Burn It All e Face The Storm, anima centrale del disco. Dodici brani per 49 minuti, ma era difficile voler tagliare qualcosa, volendo lasciare spazio ai fiati di Michele Vignali e Francesco Bucci (arrangiati da Vanni Crociani) nella cavalcata di Wall Of Death, o per chiudere con i tre brani liricamente più intensi (A Divine Tragedy, Spirit Of Us e Tame The Lion). Un bel salto di qualità che porta quel 6 di un tempo a un 8 pieno.



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