Sing This! Brevi
storie di brani e di alcune cover
#8
Respect
[a cura di Gianni Del Savio]
Otis Redding, arrivato sulla scena quasi in punta
di piedi, dapprima “ispirato” a Little Richard e James Brown, comincia
a farsi strada con un timido hit all’inizio ‘63: These Arms of Mine
rivela un artista sensibile, comunicativo, sebbene ancora “grezzo”. La
sua popolarità aumenta a metà decennio, con un crescendo, fatto di soul
ballads e r&b. La definitiva consacrazione internazionale – pure come
autore - arriva nel ‘67 (purtroppo è pure l’anno della sua scomparsa:
il 10 dicembre precipita con l’aereo nel Lake Monona, Wisconsin), anche
grazie al tour europeo e soprattutto alla partecipazione allo storico
festival di Monterey, in giugno, accompagnato da Booker T. & the MG’s
e dai fiati dei Mar-Keys. In vari momenti esibisce le sue qualità di performer
comunicativo (nel filmato integrale del festival s’intravvede il tenero
sguardo di Mama Cass mentre lo ascolta…). Di Respect, classico
r&b da lui scritto e inciso un paio d’anni prima per l'album Otis Blue,
che riporta anche all’eterno “conflitto” dei rapporti interpersonali,
Redding ne propone una versione frenetica, quanto trascinante.
Otis Redding
- Respect (Monterey Pop Festival, 1967)
Tra le cover, da citare quelle di Jackie Wilson - pur se
l’arrangiamento swing, con l’orchestra di Count Basie, “sovrasta” l’impatto
interpretativo del grande showman - dei Temptations & Supremes (live insipido...)
e quella un po’ tirata via di Stevie Wonder; ambedue nel più vellutato
clima del “Motown sound”. In diverso modo, tre le versioni che brillano.
Una è notissima, ineguagliabile.
Aretha Franklin
Con lei, quell’iconico soul-r&b assume prepotentemente anche il significato
di rivendicazione femminile, “rubando la scena” all’autore. Otis non poteva
immaginare che la venticinquenne memphisiana, arrivata da poco all’Atlantic,
se ne appropriasse, ricavandone un capolavoro che, con un ritocco del
testo, diviene anche uno slogan “anti-macho”. Il tutto prende forma nel
‘67, dopo il “disastro comunicativo” dei Fame Studios di Muscle Shoals,
Alabama (dai quali comunque viene fuori il gioiello I Never Loved A
Man the Way I love You, che è anche titolo dell’album che contiene
Respect). Con l’apporto vocale-affettivo delle sorelle Carolyn
ed Erma, nella session di New York, Aretha è guidata dal produttore Jerry
Wexler e dal grande tecnico del suono Tom Dowd. Ne risulta quella che,
nel 2021, la rivista “Rolling Stone” proclamerà “canzone più bella di
sempre”. Che lo sia o meno…
Aretha
Franklin - Respect (Live)
Tina Turner
Nel ‘71, all’Olympia parigino, con ancora più frenetica “urgenza” - accompagnata
dalla band di Ike Turner e con l’apporto spettacolare e vocale delle tre
dinamicissime Ikettes -, Tina ne fa una versione particolarmente e scenicamente
vitaminica, aggiungendo la sua carica di sensualità (trattenuta in quella
della Franklin, certamente più attenta ai riferimenti religiosi della
famiglia: il padre è predicatore battista). Una cover dal vivo difficilmente
eguagliabile. Purtroppo Ike non terrà per nulla conto della “richiesta”,
calpestandone in vario modo il significato.
Ike &
Tina Turner - Respect (Live at L'Olympia, 1971)
Dexys Midnight Runners
Sorprendente “manipolazione” ska-reggae-r&b, quella proposta allo Shaftesbury
Theatre (Londra) dal gruppo inglese, nell’ottobre dell’82: formidabile
e frenetico, il brano-slogan è condotto con maestria vocale da Kevin Rowland
e dai suoi musicisti. Forza comunicativa, spontaneità esplosiva e gigionismo
vitaminico, risultano irresistibili, rendendolo originale e trascinante.
Una trama di oltre 6 minuti, che parte tesissima e prosegue in un clima
infuocato. Si placa dopo circa 1’40”, lasciando l’hammond in sottofondo,
mentre il leader interloquisce, commenta e gigioneggia col pubblico. Riprende,
anche in controcanto, in un crescendo irresistibile, con passaggi “intermedi”,
prima di accelerare ed esplodere con ritmica forsennata, fino a quando
va a chiudere con un urlo “corale” emozionante...