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BooksHighway   il rock'n'roll tra le parole
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Joan Didion
Diari di un'altra America

- a cura di Marco Denti -

All’inizio della primavera del 1968, Joan Didion è in uno studio di registrazione sul Sunset Boulevard dove i Doors stanno registrando Waiting For The Sun. Nelle stanze accanto suonano i Buffalo Springfield, già ai titoli di coda. La città brulica di rock’n’roll band, ma i Doors “erano diversi” ed è così che Joan Didion si ritrova lì a seguire le dinamiche tra Ray Manzarek e Robbie Krieger e ad aspettare Jim Morrison. Anche se quando arriva, non succede un granché, ma ogni minuscolo dettaglio concorre a definire un’atmosfera gonfia di presagi. La percezione di Joan Didion è sintomatica: “C’era la sensazione che nessuno avrebbe lasciato la stanza”. Non si può uscire vivi di qui, dirà qualcuno molti anni dopo. Lei l’aveva capito in tempo reale.

Nel fatidico 1967, con i Grateful Dead che aleggiavano incontrastati su San Francisco nell’estate dell’amore, Joan Didion è lì, ma ricorda un’altra dimensione dell’America: “Era un paese in cui le famiglie scomparivano regolarmente, lasciandosi dietro uno strascico di assegni scoperti e ingiunzioni di esproprio. Gli adolescenti vagavano da una città straziata all’altra liberandosi di passato e futuro come i serpenti di disfano della pelle, ragazzi cui non erano mai stati insegnati, ormai non avrebbero mai imparato, i giochi che avevano tenuto insieme la società”. In Verso Betlemme, tra il 1961 e il 1968, Joan Didion scrive con una lucidità che è mancata a tanti: la sua partecipazione non le impedisce di prendere le misure e di osservare con una prospettiva tutta sua. Non sfiora nemmeno la parola rivoluzione: troppo attenta e troppo pronta a capire. È una testimone oculare diretta, scomoda. Credibile.

Joan Didion capita in mezzo al rock’n’roll perché non può farne a meno: la California effervescente e carica di speranze di quel momento è in qualche modo una tappa obbligata e nelle cronache raccolte in The White Album si incontrano anche John e Michelle Phillips o Janis Joplin, ma il suo atteggiamento è tutt’altro che complice o partecipe. Nel pieno di una colossale sbornia collettiva, resta sobria e ammette che “passare del tempo con i musicisti ti confondeva e richiedeva un atteggiamento più fluido e decisamente più passivo di quanto io avessi mai acquisito”. A distanza di sicurezza, si capisce meglio.

Eppure è lì, non le sfugge nulla. In Verso Betlemme dedica un intero capitolo a Joan Baez spiegando che “è una ragazza interessante, una ragazza che sarebbe potuta interessare a Henry James, all’epoca in cui creava il personaggio di Verena Tarrant per I bostoniani”. I riferimenti culturali di Joan Didion sono quelli lì e più avanti dice che “Joan Baez era una personalità prima ancora di essere diventata una persona e come tutti quelli a cui succede, in un certo senso è la vittima sventurata di ciò che gli altri hanno visto in lei, hanno voluto che lei fosse o non fosse. I ruoli a lei assegnati sono vari, ma sono solo variazioni su un unico tema”. Sarebbe capitato anche a qualcun altro, come ben sappiamo.

Marvin Gaye, I Heard Through The Gravepine Grateful Dead, Promised Land

Osservatrice cauta e perspicace nel comprendere le dinamiche culturali e sociali, non si è mai fatta trascinare dalle parole d’ordine e dai luoghi comuni del “movimento”, non si è mai schierata senza pensare, non si è lasciata incantare. Il suo atteggiamento deriva sia dalla formazione famigliare, sia dalla sua peculiare attitudine, volta a riconsiderare tutto da un punto di vista strettamente personale e individuale. La scrittura, capace di passare con disinvoltura, dalla saggistica al romanzo, è precisa, accurata, limpida e frutto di un costante processo di analisi e The White Album, che documenta le cronache turbolente dal 1968 al 1978, offre uno spettro significativo dell’evoluzione di un’intera epoca. Aveva già intravisto gli impatti emotivi, con una lettura tutt’altro che emotiva, molto sagace ma anche appassionata e a tratti febbrile, ma sempre inappuntabile.

Nell’autunno del 1968 mentre guida tra Sacramento e San Francisco pensando che incontrava “troppa gente che si dichiarava favorevole al bombardamento delle centrali elettriche”, Joan Didion ascolta alla radio I Heard Through The Gravepine. Come dire, i Creedence e Marvin Gaye in contemporanea, ma è anche la stessa canzone che aprirà il Grande freddo, il film di Lawrence Kasdan che anni dopo (nel 1983, per la precisione) identificherà i postumi e i rimpianti dell’età dell’acquario. Non è una coincidenza: la capacità di leggere i tempi, decifrando nuovi codici e vecchi luoghi comuni, dissipando le cortine fumogene degli slogan, consente a Joan Didion di percepire connessioni e intersezioni che sono sorprendenti fino a un certo punto perché la sua lettura è scrupolosa e riesce a spiegare come le canzoni si incrociano, identificando un attimo e perché restano incastonate per sempre nella playlist del tempo.

Do You Wanna Dance, Visions of Johanna, Midnight Confessions, Mr. Tambourine Man, Lay Lady Lay, Suzanne, Dusty Springfield con Son of a Preacher Man, Dion per Abraham, Martin and John, Simon & Garfunkel e Bridge Over Troubled Water sono le canzoni che via via distinguono e Joan Didion scrive in The White Album: “Non avevo mai sentito e forse non avrei più sentito l’America cantare esattamente in quella tonalità: accelerata, eterea, un coro angelico sotto destroanfetamine”. Lo sguardo di Joan Didion è trasversale perché riesce ad avvicinarsi a meteore incandescenti, rimanendo accorta nel riassunto e negli approfondimenti.

Un ruolo di riguardo tocca ai Byrds, che Joan Didion sente come se avessero percepito il senso di un’epoca e l’avessero tradotto in una sonorità spaziale. “Per ogni cosa c’è una stagione. Ecclesiaste, certo, ma per prima cosa penso ai Byrds, Turn! Turn! Turn!. Per prima cosa penso a Quintana Roo seduta sul nudo pavimento di legno nella casa di Franklin Avenue e sulle piastrelle di terracotta lucidate a cera nella casa di Malibù ad ascoltare i Byrds su uno stereo 8” scrive in Blue Nights. Quintana è la figlia (adottiva) che segnerà la vita di Joan Didion e anche Hotel California arriva a evidenziare un passaggio importante. Per lei, la California è terra d’elezione, ma oltre Los Angeles, le apparenze di Hollywood e San Francisco all’apice della sua illusione, ci sono altri snodi geografici e sociali da affrontare. Prima di tutto New York dove si stabilità, ma anche Miami, i Caraibi, e l’America centrale. Schegge di momenti, piccoli ritratti, frammenti che Joan Didion assembla in un lettura complessiva attentissima e rigorosa per ogni particolare, ma anche capace di una visione complessiva.

Miami, nello specifico, è uno caso: è snodo per i Doors, soprattutto per Jimi Morrison, e lo è per Joan Didion a cui dedica Miami e che, sua volta, è un’intersezione specifica per un altro densissimo romanzo, Il suo ultimo desiderio. È un crocevia importante per Joan Didion perché è al centro dei Caraibi che affronterà spesso nei suoi reportage dal Salvador: un groviglio fittissimo dove si ritrova reporter nel bel mezzo di traffici di armi, complotti, guerriglie, disastri. La cronaca è raffinata e puntigliosa, ma comunque molto più intensa di tanti blasonati commentatori. Sa rendere l’atmosfera come pochi altri: “Non sono mai passata attraverso il controllo di sicurezza di un volo per Miami senza provare una sensazione di leggerezza mista a un innalzamento del livello di guardia, dovuto alla coscienza di aver lasciato il mondo civilizzato per entrare in un’atmosfera più fluida, in cui lo scetticismo riguardo all’osservanza delle istituzioni democratiche della fascia temperata degli Stati Uniti regnava sovrano”. La storia vuole che Miami sia l’inizio della fine per i Doors: il primo marzo 1969 succede di tutto, lo show di Jim Morrison è un’apoteosi dell’erotico politico, ma sotto la pelle, la musica sta finendo. Guarda caso c’è un Treat Morrison tra i protagonisti di Il suo ultimo desiderio e Miami è uno svincolo verso i drammi dell’America centrale, ma siamo già oltre.

The Byrds, Turn, Turn, Turn The Doors, Moonlight Drive

Nell’ultimo viaggio americano, raccontato in A Sud e a Ovest, l’accompagnano i Jackson 5 con ABC e Frank Sinatra con Turn Back the Hands of Time e Les Paul, I Get a Kick Out of Youe e Mary Ford, How High The Moon. Punti di vista che la radio evidenzia spaziando lungo linee temporali. È un percorso al contrario, rispetto ai miti della frontiera, che attraversa e celebra New Orleans, ma che come sottolinea Nathaniel Rich, ha una logica più complessa: “Ci dicono che i sognatori del sogno dorato non erano altro, appunto che sognatori, mentre la densa ossessività del Sud, con il suo spirito di vendetta, era la vera condizione americana, una condizione che sarebbe inevitabilmente tornata. Joan Didion è andata nel Sud per capire qualcosa della California, ma ha finito per capire l’America”. Non era un compito facilissimo, ma lei aveva studiato.

Per spiegare il senso della scrittura, Joan Didion si è spesa con generosità e con opinioni molto appropriate, con il raro dono delle sintesi. Una delle lezioni migliori recita: “Basta guardare bene, e non puoi perderti lo scintillio. C’è. Non si può pensare troppo a queste immagini scintillanti. Bisogna solo sdraiarsi e lasciare che si sviluppino. Stare fermi. Non parlare con troppe persone ed evitare il cortocircuito del proprio sistema nervoso, cercare di individuare il gatto nello scintillio, la grammatica nell’immagine”. Non serve altro, solo esperienza.

Della scintillante rock’n’roll fantasy non le resterà molto, se non l’amicizia con Earl McGrath, executive per l’Atlantic, presidente della Rolling Stones Records, produttore di Catholic Boy di Jim Carroll, gallerista e molto altro, che cercherà, invano, di aiutare la figlia Quintana, che voleva intraprendere la carriera di fotografa. Una delle tante occasioni mancate tra i tormenti che poi travolgeranno la vita di Joan Didion e del marito. A quel punto, la drammatica esperienza personale e famigliare viene elevata a performance pubblica, con L’anno del pensiero magico, un doloroso capolavoro, e con il corollario postumo di Diario per John, ed è come vedere il mondo in un laboratorio, quel laboratorio che è stata la sua mente.


Joan Didion, bibliografia (dal blog di BooksHighway)

The White Album
bookshighway.blogspot.com/2025/03/joan-didion.html

Blue Nights
bookshighway.blogspot.com/2016/07/joan-didion.html

Verso Betlemme
bookshighway.blogspot.com/2013/10/joan-didion.html

Miami
bookshighway.blogspot.com/2014/03/joan-didion.html

A Sud e a Ovest
bookshighway.blogspot.com/2019/07/joan-didion.html

Perché scrivo
bookshighway.blogspot.com/2023/01/joan-didion.html

L’anno del pensiero magico
bookshighway.blogspot.com/2011/05/joan-didion.html

Diario per John
bookshighway.blogspot.com/2025/05/joan-didion.html