Nemo propheta in patria, il vecchio
adagio sembra valere anche nel piccolo mondo del rock provinciale
americano, attraversato da band che spesso hanno trovato la
loro America nella vecchia Europa, generosa nell’accogliere
un suono che rappresenta anche, forse soprattutto, un immaginario.
Lo sanno bene i Say ZuZu, ragazzi del New Hampshire,
luogo di per sé già defilato rispetto ai centri nevralgici
del business musicale americano, che sono stati adottati dall’Italia
in particolare, più volte giunti in tour alle nostre latitudini,
e ancora più in generale da un mercato europeo dove i loro
dischi (in Germania hanno pubblicato per la storica etichetta
Blue Rose) hanno goduto di una buona distribuzione.
Here Again: A Retrospetive è un atto di giustizia
tardivo che rimette in circolo la musica del gruppo grazie
all’interessamento della Strolling Bones records, sussidiaria
fondata da George Fontaine Sr., titolare della ben più nota
New West, casa di buona parte del migliore roots e country
rock di queste stagioni. Un’antologia che serve a far luce
sulla produzione dei Say ZuZu dal 1994 al 2002, anno dell’ufficiale
“rompete le righe”, e in realtà primo segnale che anticipa
l’annuncio della reunion della band, la quale tornerà tra
la fine di quest’anno e il 2023 con materiale nuovo, dopo
un’assenza di vent’anni. I segnali si erano avuti già nel
2019 con una serie di concerti locali e una formazione allargata
che includeva ben sei membri, dagli originali fratelli Jon
(chitarre e voce) e James Nolan (basso) a Cliff Murphy (altra
voce e chitarra in seno alla formazione) fino al primo batterista
Steve Ruhm.
Un amarcord che ha risvegliato il desiderio di riprovarci,
magari con più esperienza e meno illusioni di un tempo, quando
i Say ZuZu macinavano miglia nel desiderio di emergere dal
grande sottobosco di quell’alternative country che rinnovana
il matrimonio fra tradizione e rock’n’roll, alla metà degli
anni Novanta. Erano nati così, in uno scantinato di Durham,
New Hampshire, i sogni di quattro ragazzi innamorati degli
Uncle Tupelo e della loro rivoluzione roots silenziosa, portando
in dono un acerbo esordio nel 1994 (l’omonimo album) e i successivi
Highway Signs & Driving Songs (1995) e Take These
Turns (1996), gli album che collocano i Say ZuZu tra le
seconde file di un genere che “spopola” a livello indipendente
e nei college americani grazie all’esplosione di Son Volt,
Wilco, Whiskeytown e figliocci vari.
Con due voci e due autori principali a tirare le fila, Nolan
e Murphy, la band segue uno schema collaudato: acustico ed
elettrico, memoria country folk ed energia rock, accentuando
spesso un’attitudine alla jam, al taglio sudista delle chitarre,
alla frenesia honky tonk elettrica, anche se il sound di quei
primi dischi risulta un po’ immaturo, innocente nello svelare
i suoi padri ispiratori. Proprio quando il gruppo troverà
la chiave per la sua definitiva maturazione, nei successivi
Bull (1998) e Every Mile (2001), nel frattempo
rivoluzionando l’assetto con l’ingresso della nuova sezione
ritmica formata da Tim Nylander e Jon Pistey, il treno sarà
passato, l’alternative country uno stile lontano dalla cresta
dell’onda e l’interesse delle etichette discografiche un miraggio.
Here Again: A Retrospetive testimonia questo percorso
a ostacoli, così come l’ennesimo sogno di rock’n’roll infranto
dalla periferia, con una scaletta stringata (dodici episodi
in tutto) e un generoso libretto con tutti i testi, le foto
d’epoca e un esaustivo essay sulla storia dei Say ZuZu, svolgendo
il compito di presentarli alle nuove generazioni dell’Americana,
ciò in cui nel frattempo si è trasformato l’alternative country
. E la sintesi funziona perché, pur nella consapevolezza del
ruolo minore giocato dalla band in quella stagione, i brani
scelti testimoniano la compattezza della loro semplice formula
roots rock da strada maestra, che trova in episodi quali Pennsylvania
e Wasting Time o ancora nell’iniziale You Don’t
Know Me e in Doldrums l’espressione migliore del
loro songwriting. Si tratta, non a caso, delle tracce provenienti
dai citati Bull e Every Mile, coda finale e
adulta dei Say Zuzu, mentre per esempio la “younghiana” Better
Days, lo sbuffare country di Colorado e l’intreccio
southern rock di Don’t Tie Me Down tornano ai primi
giorni della band, più ingenue nell’inseguire il gesto di
quella provincia musicale che tanto ci affascinava.
Here Again: A Retrospetive racconta un piccolo pezzo di quel
mondo, una storia dai margini di un genere ai margini: una
stringata introduzione in attesa del previsto ritorno discografico
dei Say ZuZu.