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Lee Fardon
On the Up Beat
[Lee Fardon 2021/ New Shot records 2025]

Sulla rete: newshotrecords.com

File Under: urban folksinger


di Fabio Cerbone (23/05/2025)

La storia musicale di Lee Fardon, oscura, zoppiccante, ingiustamente relegata al ruolo che “spetta” quasi di diritto agli outsider posti ai margini del rock’n’roll, sarà per sempre legata ai suoi esordi, a quell’accoppiata di album, rimasti un po’ nel cuore degli appassionati, e che corrispondono ai titoli di Stories of Adventure e The God Given Right. Ne accennavamo anche in occasione della precedente pubblicazione della New Shot dedicata a Fardon, l’album dal vivo Mayday. The Live Recording, risalente al tour italiano del 2008 e che metteva in luce canzoni vecchie e nuove, testimoniando come il songwriter inglese avesse arricchito il suo canzoniere nell’indifferenza generale, provando a più riprese a riemergere artisticamente.

La nuova uscita di On the Up Beat è l’ennesima dimostrazione di affetto dell’etichetta italiana, solitamente occupata, come sappiamo, ad offrire rare incisioni live, ma in questo caso sensibile a “ripescare” un album di studio di Lee Fardon e purtroppo sbrigativamente finito nel dimenticatoio dopo la sua iniziale pubblicazione indipendente nel 2021. Con una nuova copertina, un’opera di remix curata dallo stesso Renato Bottani della New Shot records e l’aggiunta di una bonus track, una Journey’s End dalla pulsioni soul rock e attraversata da un organo dai profumi sixties, On the Up Beat è una piccola sorpresa anche per chi vi scrive e aveva colpevolmente ignorato il disco al tempo, dimostrazione ulteriore di come questo autore non abbia più goduto delle meritate attenzioni di inizio carriera.

Certo, non tutta la sua produzione successiva, peraltro molto parca e spesso eclissatasi nell’indipendenza assoluta, ha saputo mantenere le promesse iniziali, ma la prima impressione è che On the Up Beat si collochi tra gli oggetti più personali della sua discografia, il classico album della maturità che differisce dal suono più affilato di gioventù per abbracciare una forma di ballata folk rock che ingloba qualche respiro celtic soul, alcune vibrazioni americana e blues, in generale un approccio più intimo che esalta l’anima dell’autore.

Si parte con la luminosa dedica di Bob’s Old Mine e si entra in contatto con i temi sulla famiglia, l’amore e i ricordi, che ravvivano giustamente un disco scritto in età saggia e adulta: la band suona brillante e fantasiosa quanto basta per dipingere ogni traccia, le chitarre di Steve Dow (e Tony Wilson) restituiscono un limpido timbro, vagamente “alla Mark Knopfler”, e la seconda voce femminile di Hannah Robinson è un’ideale spalla per dare colore al tono più crudo (forse limitato, eppure di peculiare fascino) dello stesso Fardon. Accade per esempio nel sapore blues zingaresco un po’ mittleruopeo di Too Hot to Hoover, melodia già sentita, ma efficace o nella successiva Two Rooms and a Garden, ballata che ricorda alcune uscite del collega Dirk Hamilton... Che in fondo è come dire “tutti figli di Van Morrison”, e ne siano una riprova i sei minuti di Postcards from Hastings, tra i passaggi più emozionanti dell’album grazie anche alla presenza del violino di Dick Cadbury.

Diverse le tracce che lasciano fluire le emozioni dell’uomo Lee Fardon e non si preoccupano di “dilungarsi” seguendo il gesto del momento, tra cui gli otto minuti di una suadente 16000 Nights e i sei di una The Boat Trip più intima e raffinata, intrecciando acustica, piano e i contrappunti jazzy della tromba di Tony Waller. Senza voler apparire eccessivi e tanto meno convertire un pubblico che magari di Fardon conosce poco o nulla, ma pare davvero di poter affermare che in questa occasione la riscoperta di On the Up Beat sia stata un’opera meritevole di giustizia nei confronti del musicista
.