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  Black Snake Moan
Lost in Time
[Area Pirata 2024]

Sulla rete: areapiratarec.bandcamp.com

File Under: Lost in the desert


di Nicola Gervasini (24/05/2024)

Ogni volta che leggo il nome di Black Snake Moan non riesco a non pensare a un vecchio film dallo stesso titolo del 2006 del regista Craig Brewer (purtroppo successivamente colpevole del remake di Footloose e dell’inguardabile seguito de Il Principe Cerca Moglie), in cui una conturbante Christina Ricci cercava in un vecchio bluesman (un Samuel L. Jackson ispirato da Blind Lemon Jefferson) la salvezza dalla propria ninfomania, simbolicamente risolta nelle braccia della popstar Justin Timberlake. Non certo un film da cinefili, se non per le atmosfere che ben coglievano l’anima tormentata del blues di Jefferson, le stesse che mi vengono ispirate dalla musica di questo Lost In Time. Ed è proprio dalla canzone di Jefferson che prende anche il nome d’arte il musicista viterbese Marco Contestabile, che con questo nickname arriva a pubblicare il suo terzo album.

Lo attendevamo a questo appuntamento, dopo che lo scorso anno gli avevamo dedicato una intervista (a cura di Sara Fabrizi) utile a capire cosa spinge ancora un musicista nostrano ad abbracciare così fortemente una cultura lontana come quella americana. Lost In Time non delude affatto le attese, e anzi attesta la sua continua crescita musicale dopo i già interessanti Spiritual Awakening del 2017 e Phantasmagoria del 2019. Nove canzoni, trenta minuti scarsi, ma sufficienti a completare un viaggio lisergico che mi immagino, con buona dose di scontati luoghi comuni, come quello di un giovane hippie che sperimenta peyote in un deserto americano nel 1969.

Il titolo d’altronde dice già tutto, il suono creato da Blake Snake Moan ha perso ormai molto delle sue radici blues dei primi anni, quando si esibiva come one-man-band delle 12 battute, acquistando in sapori che uniscono melodie West Coast e sonorità da piena Summer of Love ‘67. Ancora una volta Contestabile fa tutto da solo, o quasi, giusto due interventi di tastiera di Gabriele Ripa in Come On Down e Put Your Flowers e il pulsante basso e voce offerti da Roberto Dell'Era (Afterhours, The Winstons, Calibro35). Eppure dallo stereo esce un muro di chitarre e voci che pare di sentire impegnata una intera comune freak alla Incredible String Band, fin dalla breve Dirty Ground che introduce al viaggio, alle chitarre quasi da dark-era di Light The Incense all’organo psych-pop di Come On Down, o ancora alle mille ipnotiche percussioni che reggono Put Your Flowes o alle voci filtrate nella programmatica West Coast Song, qui tutto sa di antico, eppure fatto in casa con grande conoscenza della materia e capacità di trasformarla in canzoni più che convincenti.

Lo chiameremmo Desert Rock, anche se a Viterbo fortunatamente la siccità ancora non ne ha creato uno, ma d’altronde la musica serve a viaggiare con l’immaginazione, e quella di Black Snake Moan riesce particolarmente bene ad accompagnarci in questo “trip”.