Prende maggiore identità la collaborazione
fra Stefano Dentone, chitarrista e autore livornese,
e la Sundance Family Band, inaugurata due anni fa con l’album
di esordio Sunday
Ranch e ora protagonista di questo interessante secondo
capitolo, intitolato Growin’ Up Blues, sempre
pubblicato dalla Go Country records. Il nome dell’etichetta
può in parte suggerire il raggio d’azione musicale, anche
se il suono del gruppo si rivela assai più multiforme, disposto
ad abbracciare l’intera gamma dei colori della tradizione,
in quello che oggi potrebbe essere riassunto come Americana.
D’altronde quel blues nel titolo (che ritorna nella canzone
omonima e in Make You Mine Blues) non è messo a caso,
e proprio nella radice “southern”, che si colora anche di
spunti gospel, affonda l’albero piantato dalla Sundance
Family Band, aprendo le canzoni persino alle vibrazioni
elettriche del rock.
Un’attitudine “comunitaria”, che lascia libera la strumentazione
e conserva una certa impronta live della registrazione di
studio, caratteristiche che avevamo notato già nell’album
precedente e che oggi sono ribadite con maggiore espressività,
cercando di far dialogare testi, interpretazione e suoni
seguendo il filo rosso che unisce i brani nel tema della
crescita. Dentone, musicista di origini liguri ma trapiantato
da anni a Livorno, vanta già una ricca produzione, sotto
forma di collaborazioni, dal duo con Antonio Ghezzani all’avventura
con The Running Chickens, una quindicina di album in tutto
che tuttavia sembrano avere trovato una forma più compiuta
proprio grazie al binomio artistico creato con la Sundance
Family Band, lì dove l’apporto fondamentale di Chiara
Cavalli al violino e Valentina Fortunati al mandolino e
al banjo forniscono gli spunti più rootsy, mentre Marco
Fontana alle chitarre elettriche ricama e rafforza dove
necessario con accenti blues e rock, e Francesco Coppedè
al contrabbasso e Filippo Meloni alla batteria completano
la sezione ritmica, cercando di intervallare vuoti e pieni,
momenti intimi e altri maggiormente carichi di energia.
L’esempio è l’alternanza fra la title track d’apertura -
tra gli episodi migliori, un country folk rarefatto dove
entrano subito in gioco anche il flauto dell’ospite Beppe
Scardino e le voci delle coriste Francesca Carrera e Letizia
Pieri – e la successiva Come Out, attraversata da
una slide guitar e uno sviluppo ondeggiante tra chitarre,
mandolino e violino. All’apparire dei toni sudisti e country
gospel di The Love I Need o della nitidezza roots
di How Far You Go (presente il trombone di Tony Cattano)
è chiaro che Stefano Dentone (convincente in generale anche
la sua prova vocale, mai forzata e semmai attenta a seguire
certi languori insiti delle canzoni) e band al seguito hanno
deciso di lasciarsi trascinare dagli umori della loro passione
per l’american music. Blu Sky risulta così più jammata
ed elettrica, toccando i cinque minuti con un contributo
essenziale del violino di Chiara Cavalli e nel finale del
sax diropente di Beppe Scardino. La segue a stretto giro
una I Want You dai toni più drammatici, ancora incrociando
folk, americana e tentazioni rock&blues sopite, quelle che
invece emergono in maniera esplicita in Ride On,
Betrayed e Heaven on Earth, quest’ultima arricchita
dalla presenza di un flauto che dona profumi sixties e richiami
folk rock di una stagione lontana.
Un disco suonato prima ancora che pensato, che anche nella
sua ingenua freschezza "dal vivo" cerca e trova
una buona personalità.