Per chi fin dagli anni Novanta bazzica
la scena “roots” nostrana, il nome di Sergio Marazzi non
è certo nuovo. Noi ce ne eravamo occupati già nel 2011 in
occasione del suo primo album solista,
This Man, ma anni prima era diventato noto nella scena
con la band dei Bluebonnets (un solo disco, No Man’s
Land del 1999), con all’attivo più di dieci anni di
attività in cui condivisero il palco con parecchi grandi
artisti americani, e curiosamente fecero anche da backing-band
all’avventura musicale del calciatore americano Alexi Lalas
(a Padova se lo ricordano bene, ma anche la caviglia di
qualche attaccante nostrano probabilmente).
Tenendo fede ad una curiosa cadenza dodecennale per ogni
suo album, Marazzi torna cambiando ancora una volta ragione
sociale e adottando un nickname quasi da indie-folker d’altri
tempi, Light and Scars. L’idea è quello di non limitarsi
soltanto alla audience nostrana per questo genere e guardare
più all’Europa, con un album sempre anglofono in cui Marazzi
torna a proporre le sue pigre, indolenti ballate con una
ben più consapevole maturità. La scelta di mettersi nelle
ormai consolidate mani di Don Antonio - alias Antonio
Gramentieri - era forse perfin quasi scontata, visto che
si tratta di uno dei pochi artisti e produttori in grado
di spogliare questo tipo di prodotti da quella patina di
improvvisazione da home-made-record che troviamo spesso
nella scena italiana (ma ormai non solo italiana direi).
Don Antonio ha il pregio di avere una buona personalità,
ma non troppo invasiva quando si tratta di produrre dischi
di altri, anche se in questo LITOW (acronimo
di Love Is The Only Way) porta in dote, oltre ad
alcuni rodati musicisti come Nicola Peruch e Piero Perelli,
anche la partecipazione straordinaria dell’amico Alejando
Escovedo, che presta la voce in Dreamer.
Per il resto Light and Scars è il soprannome giusto anche
per raccontare una serie di canzoni dove le ferite, che
i rapporti amorosi inevitabilmente ci lasciano, sono curate
con una visione tutt’altro che pessimista (significativamente
il brano di apertura si chiama Hope
e quello di chiusura A New Day’s
Gonna Come) sull’’opportunità di insistere a
mettere i rapporti con gli altri in cima alle nostre priorità
di vita (Next To You). L’amore è dunque l’unica via
per sfuggire all’orrore del presente (Sad Times),
anche se fa male e lascia i segni (Tragic Spell).
Marazzi non cerca troppo la varietà quanto la sostanza in
quello che non è un vero concept-album, ma idealmente è
come se lo fosse, forse il punto di partenza di una nuova
carriera che speriamo non debba attendere davvero altri
12 anni per conoscere un nuovo capitolo. Almeno per sapere
se, nel frattempo, quel suo nuovo giorno è davvero arrivato.