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Bonny Jack
Somewhere, Nowhere

[Bonny Jack, 2024]

Sulla rete: bonnyjackblues.bandcamp.com

File Under: dark folk-blues

di Fabio Cerbone (22/08/2025)


La definizione di “Dark Folk One Man Band”, che campeggia sulla pagina facebook ufficiale del musicista ci aiuta a toglierci dall’impaccio di trovare la giusta collocazione alle sfumature sonore che ermegono dal terzo album solista di Bonny Jack, nome d’arte dietro cui si cela il polistrumentista Matteo Senese. Per una volta è abbastanza specifica e onesta da riflettere le sensazioni sprigionate in Somewhere, Nowhere, sebbene l’album, a differenza della dimensione live di Bonny Jack, si serva della presenza di diversi collaboratori, ad ampliare le fascinazioni “americane” di undici brani autografi che attraversano la cosiddetta roots music nelle sue numerose incarnazioni, bianche e nere potremmo dire, che partono dalla tradizione.

Alle spalle, come anticipato, due lavori di matrice più elettrica, a cominciare dall’esordio nel 2020 con Bone River Blues e il successivo Night Lore Blues, che hanno permesso a Bonny Jack di esibirsi su palchi di festival europei e persino in Sud America, come ci ricorda il gadget/cartolina al’interno della confezione cartonata del cd, con la partecipazione al Muddy Roots di Buenos Aires. Che vi sia un approccio rigoroso alla materia e quindi anche una credibilità artistica nel declinare i linguaggi del folk americano lo conferma l’apertura con Uncle Jack, introduzione al mondo un po’ gothic country e un po’ blues noir dell’intero Somewhere, Nowhere, in questo caso episodio trascinato da banjo e violino per una colonna sonora da ambientazioni appalachiane. Il tenore scuro, acustico e ancorato alla matrice roots prosegue con Carnival Alley, attarversata anche dal curioso suono di uno scacciapensieri.

Alle registrazioni, come detto, si uniscono altri musicisti, tra i quali Guido Jandelli all’armonica e chitarre, Andrea Vettor alle percussioni, Ren Vas Terul all’armonica, Tyler R alla tromba, Alia alla voce, Brian D. al violino e Angelica Foshi alla fisarmonica. Quest’ultima guida la danza un po’ zingaresca di DamaJuana, mentre Tell Me e Me & The Allies proseguono quel discorso “gotico” e folkie, fra musica e invocazioni nelle stesse liriche, che ci riporta a una certa scuola alternative country degli anni Novanta che ha avuto nei Sixteen Horsepower o negli Handsome Family i suoi più fulgidi rappresentanti. Con Mexican Standoff viriamo la rotta verso il deserto texano e il confine messicano, la tromba detta il passo e l’atmosfera si fa più cinematografica: un po’ scontato forse il contesto e le ombre “western”, così come il primitivo battito blues delle catene in Mother Moon, mentre lì dove Bonny Jack e i suoi ospiti sembrano offrire il lato più misterioso e selvaggio della loro musica è nella presenza quasi ancestrale di certe melodie che emergono in The Glacier e Devil’s Saddle, per chiudere con una sorta di preghiera gospel-folk-blues sull’oscurità dell’esistenza in Post Apocalypse Song.

Disco inevitabilmente ricco di suggestioni e mondi sonori che emergono dall’american music più arcaica, reso in una formula certamente non inedita, e che tuttava riesce a mantenere una sua personalità.